Il Tesoro avrebbe allo studio l’ipotesi di cedere crediti deteriorati (NPL) di MPS per un valore di 10 miliardi di euro a una società separata, che successivamente verrebbe fusa con Amco, la ex Sga, controllata dallo stesso Tesoro e che si occupa della gestione dei prestiti in sofferenza delle banche italiane. L’indiscrezione ha fatto balzare le azioni senesi del 2,5% venerdì scorso, perché è evidente che piaccia al mercato. MPS si libererebbe così di circa i due terzi dei suoi NPL, che al 30 giugno scorso valevano ancora 14,1 miliardi di euro, pari al 16,3% dei crediti totali erogati, potendo fare pulizia dei bilanci.

Già, ma non vi sembra troppo facile?

Se il problema fosse vendere a terzi gli NPL, non si capirebbe perché servirebbe l’intervento dello stato, pur in qualità di azionista di controllo dell’istituto dopo il salvataggio del 2017. Il punto è un altro: la cessione degli NPL fa pulizia dei bilanci, ma allo stesso tempo comporta il sostenimento di perdite, ingenti nel caso specifico. Vediamo le cifre. Dal 2017, MPS ha ceduto NPL per 24 miliardi di euro e al 21% medio del loro valore nominale. Al 30 giugno scorso, questi crediti dubbi risultavano coperti al 53,8%, cioè il restante 46,2% sarebbe il valore che ancora teoricamente la banca si aspetta di ricavare, più del doppio rispetto al prezzo medio di cessione di questi anni.

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Nuovo salasso per i conti pubblici?

In sostanza, per i 10 miliardi di NPL dovremmo attenderci che verranno venduti a qualcosa come poco più di 2 miliardi di euro, mentre a bilancio risultano iscritti mediamente a circa 4,6 miliardi. La differenza di 2,5 miliardi sarebbe una perdita accusata da MPS e che azzererebbe il valore già infimo di capitalizzazione della banca in borsa, pari a 1,7 miliardi. Improbabile che il Tesoro lasci che avvenga tutto ciò, in quanto dovrebbe mettere mano subito dopo a una ricapitalizzazione pro-quota, sborsando dichiaratamente nuovi quattrini.

Gli elettori italiani non gradirebbero, per cui probabile che compia un’operazione più sottile, cioè che effettivamente scarichi sulla società cessionaria il peso della maxi-perdita, vendendole NPL a valori sostanzialmente prossimi a quelli di iscrizione a bilancio.

E’ ovvio che nessuna società privata accetterebbe mai di buttare soldi nel bidone dell’immondizia. E, infatti, questa entità ad oggi ignota verrebbe fusa con Amco, controllata dal Tesoro, una società pubblica. Essa si accollerebbe le perdite, ma a pagare il conto sarebbe chiaramente sempre il Tesoro, cioè noi contribuenti italiani. L’unico modo che il governo avrebbe, in teoria, per evitare questo salasso a carico dei conti pubblici – l’ennesimo legato al salvataggio di MPS, già costatoci 8 miliardi tra ricapitalizzazione precauzionale e rimborso degli obbligazionisti subordinati – sarebbe di caricare le perdite a bilancio e subito dopo rivenderla sgravata dagli NPL sul mercato, chiaramente dopo una nuova ricapitalizzazione che finanche azzeri la quota pubblica. Ma avete sentore di soggetti privati all’orizzonte per comprarsi MPS? La stessa fusione ipotizzata con UBI avverrebbe dopo la maxi-cessione di NPL, con la banca lombarda che non intende certo mettere mano al portafoglio per ripianare le perdite di Siena.

P.S.: A proposito, se lo stato oggi rivendesse MPS, agli attuali prezzi di mercato perderebbe oltre 4 miliardi di euro, avendola rilevata per 5,4 miliardi e valendo la sua quota solamente 1,2 miliardi a Piazza Affari. E facendo emergere le maxi-perdite, il valore di borsa dell’intera banca piomberebbe a zero.

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