Quest’anno, il dollaro ha perso mediamente l’8,5% contro le altre divise, registrando i peggiori primi sette mesi da oltre un trentennio a questa parte. L’indebolimento del cambio negli USA non è stata accolta negativamente dal mondo del business, perché a preoccupare le imprese americane e il presidente Donald Trump fino a pochi mesi fa era proprio il super-dollaro, le cui quotazioni erano schizzate del 40% in appena un lustro, troppo forse anche per la prima economia mondiale. Il ripiegamento degli ultimi mesi segue proprio l’eccessivo apprezzamento avvenuto tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, tra la vittoria del tycoon alle elezioni USA e il suo insediamento alla Casa Bianca.

(Leggi anche: Super-dollaro si sgonfia dopo elezioni in Francia)

Ad avere approfittato del dollaro debole è stato, in particolare, l’euro, che ha messo a segno quest’anno l’11,5%, con guadagni arrivati al 13% fino a poche sedute fa. Se è vero che nell’Eurozona si guarda con malcelato fastidio all’apprezzamento del cambio euro-dollaro, vanno tenute in considerazioni condizioni globali oggi più favorevoli rispetto a quelle di inizio anno, grazie proprio al passo indietro del biglietto verde.

In particolare, le economie emergenti stanno allontanando la prospettiva di rialzi dei tassi necessari per contrastare cambi deboli e inflazione importata, scenario che ne rallenterebbe i ritmi di crescita. Esse pesano ormai per oltre il 40% del pil globale e rappresentano la stragrande maggioranza della crescita mondiale. Un loro “slowdown” si riverserebbe negativamente anche sui tassi di crescita delle economie avanzate, perché in un mondo globalizzato, se il tuo vicino cede il passo e compra meno da te, anche tu prima o dopo farai i conti con i suoi problemi.

Dollaro debole, effetti per economie emergenti

Ebbene, grazie al dollaro debole, l’indice dei bond sovrani emergenti segna ad oggi quest’anno un aumento del 7,2%, mentre quello dei bond corporate delle economie emergenti mostra un +6,8%.

Bond emergenti più forti significa rendimenti più bassi per i governi e le imprese di queste economie, ovvero minori risorse da impiegare per rifinanziare debiti in scadenza e per accenderne di nuovi. Ciò sostiene la loro domanda interna, composta da consumi, investimenti e spesa pubblica. (Leggi anche: Valute emergenti, 2017 anno del riscatto?)

Vediamo qualche esempio concreto. Il real brasiliano si è rafforzato del 2,7% contro il dollaro e i suoi rendimenti sovrani a 2 anni sono diminuiti di 150 punti base all’8,4%, quelli a 10 anni della stessa misura al 10%. Ciò sta consentendo al governo di Michel Temer di godere di condizioni finanziarie migliori per tagliare il deficit al 2,5% quest’anno dal 9% del 2016. E l’economia brasiliana sta uscendo, pur a fatica, da un biennio di dura recessione.

E che dire della lira turca, che nonostante le vicissitudini di Ankara dell’ultimo anno (si pensi solo al fallito golpe del 15 luglio 2016), ha guadagnato contro il dollaro quasi il 3%, sebbene la banca centrale non abbia nemmeno assecondato un cambio più forte. Grazie a tale tendenza, i rialzi dei rendimenti sovrani biennali sono stati limitati a una novantina di punti all’11,4%, mentre quelli decennali sono diminuiti di una cinquantina di punti al 10,50%.

Minori tensioni sulla Cina

Restando tra le grandi economie emergenti, la rupia indiana ha messo a segno oltre il 6% contro il dollaro, cosa che ha contribuito a rallentarne l’inflazione dal 6% di un anno fa all’1,5% di giugno. Di conseguenza, i bond a 2 anni rendono oggi appena meno di inizio 2017 e quelli a 10 anni sono saliti di poco al 6,5%.

E che dire dello yuan cinese, che nel 2016 aveva riportato il peggiore risultato dal 1990, perdendo il 6,7%, mentre quest’anno guadagna già il 4% contro il dollaro? Grazie a tale inversione del trend, Pechino desta oggi minori preoccupazioni sulla fuga di capitali esplosa poco più di due anni fa e che aveva generato allarme tra analisti e investitori mondiali.

La stessa resilienza della sua economia segnalerebbe che tali timori sarebbero stati eccessivi. Ciò non ha arrestato la risalita dei rendimenti alle varie scadenze, ma sarebbe andata anche peggio in un ambiente di yuan debole.

Il dollaro debole, poi, rafforza le quotazioni delle materie prime, di cui sono generalmente produttrici svariate economie emergenti, migliorandone i saldi commerciali e i rischi finanziari. Non stiamo dicendo che per ciò stesso il mondo sarebbe salvo da una possibile crisi in vista. Non basta certo il cambio americano a mettere una pezza su ogni buco dell’economia mondiale, ma se fino a pochi mesi fa eravamo concentrati nel verificare l’impatto negativo della stretta USA sui mercati emergenti, quanto meno adesso abbiamo spostato più in avanti tale appuntamento. Nel frattempo, paesi avanzati ed emergenti si rafforzano, aumentando auspicabilmente la resistenza per i casi di stress futuri. (Leggi anche: Economia cinese, crescita stabile tra luci e ombre)