Giuseppe Conte “non ha esperienza, né visione”. Con queste parole, Beppe Grillo ha liquidato definitivamente la leadership dell’ex premier per il Movimento 5 Stelle. Un epilogo nell’aria da giorni, ma che forse in pochi si aspettavano così drastico e veloce. La crisi del Movimento 5 Stelle (M5S) è deflagrata in tutta la sua virulenza e difficilmente potrà ricomporsi. Basti andare sui profili social di questo o quel deputato o senatore e, a seconda che stia con l’uno o con l’altro, leggerete commenti durissimi o contro il fondatore dei pentastellati o l’ex premier.

Quest’ultimo non intende deporre l’ascia da guerra e ha annunciato che ugualmente porterà avanti il suo progetto politico. Detto in altri termini, se anche non potrà avvalersi del simbolo dell’M5S, fonderà un suo partito. La scissione del movimento è nei fatti e sarà tutt’altro che solamente una questione politica. In Parlamento, i “grillini” vantano un peso superiore a quello di tutti gli altri partiti, sebbene attualmente siano dati terzi da tutti i sondaggi. Nel 2018, infatti, raccolsero un terzo dei consensi.

Grillo e Conte minacciano la stabilità finanziaria

Di fatto, l’M5S è il principale azionista del governo Draghi. Niente affatto convinto, ma questa è un’altra storia. Non è un mistero che Conte vorrebbe la fine imminente di questa esperienza, vuoi per lo choc della defenestrazione a gennaio, vuoi per capitalizzare il prima possibile alle urne il gradimento personale di cui godrebbe. Un suo partito ormai del tutto indipendente dai desiderata di Grillo avrebbe quella libertà di punzecchiare l’attuale esecutivo fino ad arrivare alle estreme conseguenze. La stessa elezione di Mario Draghi a prossimo capo dello stato diventa già meno scontata.

Il divorzio tra Grillo e Conte si ripercuoterà sugli atti parlamentari sotto forma di dispetti, votazioni contrapposte e rivendicazioni identitarie dal sapore elettoralistico.

Ciò farà ballare il governo Draghi, specie tra un mese, quando scatterà il “semestre bianco”, nel corso del quale il presidente della Repubblica non potrà sciogliere le Camere. E inevitabile sarebbe il “repricing” del debito pubblico italiano. Sui mercati il rischio sovrano dei BTp sarebbe avvertito più alto, i rendimenti salirebbero e con essi il costo di emissione del nuovo debito. L’impatto sui conti pubblici sarebbe negativo.

A maggior ragione, se queste divisioni dovessero paralizzare il Recovery Fund nella sua fase incipiente. L’Italia dovrebbe ricevere sui 25 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni questa estate, ma in cambio di un’agenda riformatrice. Se già risultava difficile immaginarne l’attuazione per via della maggioranza parlamentare composita, adesso rischia di diventare un miraggio. I mercati ci punirebbero. Saremmo noi italiani a pagare le botte da orbi tra Grillo e Conte.

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