Il calcio è rito e lo stesso dicasi per l’asta dei diritti televisivi di Serie A. Ogni tre anni, la solita storia. La Lega fissa un prezzo minimo per i pacchetti da vendere, salvo scoprire a bando chiuso che le offerte pervenute siano state inferiori. Si passa al piano B, cioè alle trattative private. La si tira per le lunghe, si dà ai giornali sportivi qualcosa di cui parlare in estate oltre il calciomercato e alla fine nessuno s’interroga perché il calcio italiano sia valutato così poco da tutti gli operatori domestici e stranieri.

Asta deserta, due di picche da Amazon

L’asta di quest’anno non ha fatto eccezione. Anzi, sarà ricordata per il flop assoluto esitato. I diritti per la Serie A erano stati fissati dalla Lega ad un valore minimo di 1,15 miliardi di euro a stagione. Per il triennio 2021/2024 i pagamenti si erano fermati a 927,5 milioni. Dunque, i club speravano e ipotizzavano che ci sarebbero stati operatori in grado di innalzare le offerte in media del 25%. Alla vigilia dell’apertura delle buste lo sapevano pure i turisti di passaggio per caso da via Rosellini a Milano che tutto ciò sarebbe rimasto un sogno proibito. Di fatti, le offerte messe insieme sono arrivate ad appena 600 milioni, la metà del minimo accettato.

Restano in corsa DAZN, Sky e Mediaset. Le prime due sono interessate ai pacchetti relativi a tutta la giornata calcistica, mentre Cologno Monzese punta sulle partite trasmesse il sabato sera. Con loro le trattative private si terranno il 26 giugno, il giorno prima dell’assemblea di Lega che dovrà eventualmente accettare o respingere le offerte. Difficilissimo che si arrivi agli 1,15 miliardi ambiti. Un altro – ennesimo – duro colpo al calcio italiano, che arranca sul piano delle risorse finanziarie a cui attingere, mentre gli altri principali campionati sono tutti in crescita.

E dire che la Lega aveva cercato di ingolosire i pretendenti con varie combinazioni cervellotiche (forse, troppo) dei pacchetti, oltre che allungando la durata dei diritti di Serie A fino ai 5 anni. Funziona così: chi vuole assegnati i diritti per quattro anni al posto di tre deve presentare offerte maggiorate del 10%, chi li vuole per cinque anni deve maggiorarle del 20%. Ma l’asta è stata disertata clamorosamente da Amazon e RAI. Si speculava da mesi circa il possibile ingresso di Jeff Bezos sul mercato sportivo italiano con una maxi-offerta destinata a rimpolpare i contenuti su Prime. La tv di stato, squattrinata e senza idee, non è pervenuta. Hanno voglia i suoi giornalisti sportivi a protestare per la scomparsa quasi totale del calcio dalle sue reti.

Diritti Serie A, canale Lega e fondi esteri come alternative

A questo punto, solo la minaccia di alternative credibili spingerebbe i tre operatori ad avvicinarsi all’offerta minima pretesa dalla Lega. Si torna a parlare con insistenza della creazione di un canale di Lega. Praticamente, i diritti di Serie A resterebbero in mano ai club, che fonderebbero una propria rete per trasmettere le partite e tutto ciò che vi gravita attorno. Gli operatori privati presenti sulle diverse piattaforme (digitale, satellitare e internet) potrebbero accedervi pagando un canone di “affitto” alla Lega per trasmettere i contenuti, a quel punto uguali per tutti.

Resta un’altra ipotesi in considerazione: tornare ai fondi esteri. Nel 2021, Cvc presentò un’offerta di 1,6 miliardi di euro per ottenere il 10% dei diritti di Serie A per dieci anni. Avrebbe istituito anche un fondo per la costruzione e la manutenzione degli stadi. Alcune tra le grandi società, Milan escluso, risposero picche. Il fatto è che club come la Juventus si erano convinti circa le buone probabilità di lanciare la Superlega in alternativa alla Champions League.

Il piano naufragò a poche ore dall’annuncio nell’aprile di due anni fa. Tutti i sei club inglesi si ritirarono subito su pressione dell’allora governo Johnson, mentre il cerino rimase in mano essenzialmente a Juventus e Real Madrid.

Avere detto no ai fondi è stato forse un grosso errore. La cessione dei diritti di Serie A lega certamente le mani ai grandi club per un periodo prolungato. E questi confidano di riuscire ad incassare di più mettendosi a vendere i pacchetti in proprio. Il punto è che non esiste ad oggi alcun piano concreto in tal senso e, anzi, le grandi società di calcio italiane stanno mostrando limiti nella governance. Dalla Juventus al Milan, passando per l’Inter cinese, non sembra che siano in grado di ottenere di più da qui ai prossimi anni rispetto alle offerte arrivate in passato dai fondi stranieri. Il rischio è che abbiano perso un treno sul quale sarebbe stato saggio salire, visto che la stazione sembra deserta.

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