La Pubblica Amministrazione in Italia deve essere svecchiata, in tutti i sensi. In media, chi ci lavora ha un’età di 50,7 anni, ma pensate soltanto che dei circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici in organico, ben 540 mila risultano avere sopra i 62 anni, cioè sarebbero a ridosso della pensione. In effetti, a fronte di un’età pensionabile ufficiale dei 67 anni, appena uno su sette va in quiescenza per raggiunti limiti di età, un rapporto che si confronta con circa uno su cinque tra i lavoratori dipendenti del settore privato (28 su 100 tra gli autonomi).

Anticipo TFS dipendenti pubblici, se conoscere la somma è diventato “abuso”

Questo significa che, al più tardi, nei prossimi 5 anni andranno in pensione oltre mezzo milione di dipendenti pubblici. Ma si consideri anche che 198 mila tra loro hanno già 38 anni di servizio, cioè sono vicini dal possedere i requisiti per andare in pensione con quota 100 o con l’assegno anticipato. La prima misura ha consentito nel 2019 a 90 mila dipendenti pubblici di lasciare il lavoro, altri 80 mila seguiranno nel 2020, secondo le stime.

A volerci tenere bassi, da qui al 2025 un quarto dei dipendenti pubblici andrà in pensione in Italia. Sarebbe un’occasione irripetibile per centrare più obiettivi contemporaneamente. Il primo è senz’altro quello di svecchiare la P.A., assumendo giovani più a loro agio con le tecnologie, le quali si stanno rivelando indispensabili per il mantenimento dei livelli minimi di servizio grazie allo “smart working” in questi mesi di quarantena forzata. Ed è vero che abbiamo, in rapporto alla popolazione, il minor numero di dipendenti pubblici in Europa (5,6%), ma sappiamo tutti quanto mal distribuiti siano tra i vari uffici.

Vigilanza massima sulle assunzioni clientelari

Tanto per fare un esempio, in questi mesi terribili di lotta contro la pandemia ci siamo accorti che gli ospedali siano a corto di organico, che mancano spesso infermieri.

E nei vari comuni si registrano lamentele simili: dove mancano i giardinieri, dove i vigili urbani, dove entrambi. Dunque, oltre a rimpiazzare i dipendenti anziani con i più giovani, dovremmo anche essere capaci di tagliare le piante organiche negli uffici in cui abbondano i burocrati e dovremmo mostrarci coraggiosi nell’assumere laddove i dipendenti servono per potenziare i servizi alla cittadinanza.

In definitiva, potremmo risparmiare e aumentare il numero dei dipendenti nei reparti in cui risultano in deficit, migliorando il rapporto tra cittadino-utente e la P.A. Nemmeno il costo in sé appare il vero problema dell’Italia, se è vero che gli stipendi pubblici nel decennio passati sono complessivamente diminuiti in valore assoluto, pesando oggi per circa 2.700 euro su ogni cittadino, sotto la media OCSE. Per contro, esploderà la spesa dell’INPS, che dal 2012 ha inglobato l’ex INPDAP, l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici. Già all’inizio dello scorso anno, i pensionati pubblici superavano le 2,9 milioni di unità e costavano oltre 72 miliardi di euro. Quasi uno su due percepiva tra 1.000 e 2.000 euro.

Sarà estremamente importante per il cittadino-elettore vigilare più che mai su governo centrale e amministrazioni locali da qui al prossimo quinquennio per assicurarsi che gli obiettivi sopra indicati vengano perseguiti e che la politica non approfitti di questa coincidenza per essa fortunata di centinaia di migliaia di assunzioni pubbliche necessarie, contestualmente all’aumento dello stato di bisogno tra le famiglie, specie nel Meridione, per tornare all’era del clientelismo spicciolo, quando il posto pubblico veniva barattato con un pacchetto di voti. Questa cattiva politica ci riempirebbe ancora di più di inutili passacarte e continuerebbe a privarci di infermieri, giardinieri e vigili del fuoco.

Più investimenti e meno dipendenti pubblici per rilanciare l’economia italiana

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