Torna in ballo la crisi dello spread del 2011, al centro nuovamente dello scontro politico tra centro-destra e PD, in particolare. Il giorno dopo che il segretario democratico Matteo Renzi aveva escluso ogni alleanza post-elettorale con “Mister Spread”, chiaro riferimento all’ex premier Silvio Berlusconi, la Procura di Milano ha annunciato l’apertura di indagini a carico dei vertici di Deutsche Bank su presunte manovre speculative nel 2011 ai danni dei nostri titoli di stato. E così, il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, ironizza su Renzi, sostenendo che non gliene andrebbe bene una, che sarebbe quasi perseguitato ormai dalla iella.

Ma analizziamo le ricostruzioni degli inquirenti italiani, dopo che il caso è stato spostato dalla Cassazione dalla Procura di Trani a Milano per un fatto di competenza, accogliendo il ricorso dell’istituto tedesco. (Leggi anche: Spread, fu complotto contro Berlusconi? Ecco la verità sul 2011 e Deutsche Bank)

Era il 26 luglio del 2011, quando Deutsche Bank annunciava che al 30 giugno precedente il suo portafoglio di titoli di stato italiani risultava pari a 996 milioni di euro. Sui mercati, è shock. Il 31 dicembre 2010, infatti, esso era stato pari a 8 miliardi, per cui il comunicato viene letto come una notizia-bomba: la più importante banca tedesca starebbe fuggendo dall’Italia.

L’Italia era già sotto i riflettori dei mercati, con lo spread BTp-Bund a 10 anni ad essere salito dai circa 155 punti base di inizio 2011 ai quasi 340 dei primi giorni di luglio. I rendimenti decennali italiani erano saliti nel frattempo di 120 bp, mentre quelli tedeschi si erano ridotti di una settantina di punti. Cos’era successo? Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, la Grecia aveva presentato i conti pubblici aggiornati sotto il nuovo governo socialista di George Papandreou e si era scoperto che il deficit reale si trovasse sopra il 15%, scatenando le ire degli altri governi dell’Eurozona e la fuga dei capitali da Atene, rendendosi necessario il primo salvataggio pubblico ad opera della nascente Troika (UE, BCE e FMI).

Il cataclisma della crisi in Grecia

Al bailout, tuttavia, non si arrivò serenamente, né in fretta, bensì dopo un duro braccio di ferro tra la cancelliera Angela Merkel e l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, con la prima contraria e il secondo favorevole. Alla fine, si trovò una linea di compromesso: salvataggi sì, ma anche gli investitori privati dovranno accollarsi le perdite. Era il maggio del 2010 e per la prima volta iniziò a parlarsi sulla stampa internazionale di “crisi dell’euro” e di rischio di un ritorno alle monete nazionali. I capitali presero il largo anche da economie come Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, che erano state tra le maggiori beneficiarie dell’euro per i rispettivi mercati dei bond. Gli investitori iniziarono a prezzare il rischio sovrano caso per caso, tenendo presente che l’euro non fungesse da copertura automatica, come si era pensato sin dalla sua nascita. Una cosa, quindi, era acquistare Bund, un’altra BTp.

E fu così che quei -7 miliardi di titoli tricolori venduti in 6 mesi da Deutsche Bank furono intesi come una fuga dall’Italia di uno dei principali attori finanziari nell’area. Il mercato seguì l’esempio, con vendite ancora più copiose nelle settimane successive, fino a quello spread di 576 punti base di inizio novembre, precedendo di qualche giorno le dimissioni di Berlusconi da premier e la nascita conseguente del governo Monti sotto il bombardamento dei mercati. (Leggi anche: Caso Geithner e presunto complotto ai danni di Berlusconi)

Perché Milano indaga su Josef Ackermann, allora ceo di Deutsche Bank, e i suoi uomini? Perché l’istituto comunicò il dato sulle vendite di BTp nei primi sei mesi dell’anno, ma non anche il riacquisto di 2 miliardi nel mese di luglio, ovvero prima della pubblicazione, in questo modo fornendo ai mercati una verità parziale e tendenziosa, ovvero offrendo l’idea di una fuga dai nostri bond, quando già era in corso un ritorno verso questi ultimi.

E la soglia dei 3 miliardi, secondo i giudici italiani, non sarebbe stata casuale: a tanto ammontavano gli investimenti ordinari di Deutsche Bank in BTp, salvo il dato ben più elevato di fine 2010, quando l’istituto aveva rilevato Postbank, che detenendo altri 5 miliardi di titoli nostrani, aveva “gonfiato” il dato complessivo.

Le presunte responsabilità di Deutsche Bank

In altre parole, i tedeschi avevano sì venduto quasi il 90% dei BTp in pancia, ma perlopiù per “normalizzare” gli importi detenuti dopo l’integrazione con Postbank. E avendo omesso di dichiarare gli acquisti di luglio, avrebbe nei fatti corroborato (volutamente?) l’idea di una fuga dall’Italia, facendo sprofondare i prezzi dei nostri titoli. Ora, il punto è che quella comunicazione del 26 luglio era riferita al 30 giugno precedente e come quasi sempre accade quando si pubblicano dati su trimestrali precedenti, non si hanno anche stime aggiornate alle settimane più recenti. Né si capisce perché Deutsche Bank avrebbe dovuto rassicurare i mercati, come se fosse un ente pubblico.

E’ altresì possibile che la banca tedesca abbia giocato con i numeri, speculando al ribasso sui nostri titoli fino almeno a quell’estate, ma di per sé non avrebbe né manipolato il mercato, né commesso alcun reato. Se da queste speculazioni, poi, ne è scaturita una crisi dello spread dalle conseguenze drammatiche sul piano finanziario, politico, economico e sociale, si apre un altro discorso, che con Ackermann e i suoi uomini non ha più niente a che vedere. In altre parole, anche ammesso che i tedeschi abbiano venduto massicciamente i nostri titoli a prezzi alti per riacquistarli parzialmente a prezzi stracciati, ciò non configurerebbe di per sé alcuna ipotesi di reato, mentre apre due importanti interrogativi: perché il mercato se l’è data a gambe levate dall’Italia e come i dati sono stati trattati dal dibattito pubblico in Italia.

Crisi dello spread c’entra poco con Deutsche Bank

Quanto al primo, c’è da rilevare che i conti pubblici italiani si candidarono quasi automaticamente ad essere vittime della crisi dello spread, a causa del male storico dell’alto debito, che con la recessione globale del 2009 era diventato ancora meno sostenibile. Il governo Berlusconi non fu causa del loro deterioramento negli anni che vanno dal 2008 al 2011, anzi riuscì persino a tenere il deficit più a bada di altre economie, come la Francia e la Spagna. Esso, però, rimase vittima sia delle proprie divisioni interne, culminate con la clamorosa bocciatura alla Camera del Rendiconto dello stato, sia della campagna di violento attacco da parte della stampa nazionale ed estera, più per una sorta di antipatia a prescindere verso la figura dell’allora premier che per la carenza di risultati sul piano delle riforme economiche.

E’ in questo quadro che va letta la crisi dello spread: governo debole e diviso – il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, arrivò ai ferri corti con Palazzo Chigi -, contesto finanziario oggettivamente difficile per i BTp e crisi di fiducia verso l’euro, con annessa fuga dei capitali da tutti i famosi “Piigs”. Oggi, il caso Deutsche Bank sembra servire alla cerchia dei fedelissimi berlusconiani per ribaltare la narrazione prevalente di un loro esecutivo bocciato dai mercati e costretto all’infamia delle dimissioni per incapacità di gestione della crisi. La verità è che la lezione del 2011 non pare sia servita granché né alla politica nazionale per fare seria autocritica sull’allegra gestione delle finanze statali anche nel corso degli ultimi decenni, né a quella europea per cercare di sviluppare gli anticorpi necessari a stanare sul nascere una possibile nuova crisi del debito. Le inchieste giudiziarie lasciano il tempo che trovano. (Leggi anche: Crisi spread, i tragici errori dell’Europa che rischiano di ripetersi)