Lo Zimbabwe Revenue Authority ha emesso una nota nei giorni scorsi, in cui spiega che il pagamento delle tasse può avvenire in valute straniere, ammettendo implicitamente che la dedollarizzazione dello scorso anno sia fallita miseramente. La decisione arriva dopo che una sentenza della Corte Suprema aveva chiarito che i debiti contratti in dollari USA prima del 22 febbraio 2019 possano essere saldati in valuta locale secondo un rapporto di 1:1. Dunque, i 4,5 miliardi di tasse arretrate da riscuotere al 31 dicembre 2018 potranno essere pagate dai cittadini per appena 261 milioni, mentre i debiti domestici dello stato, pari a 9,5 miliardi, si sgonfiano così in pagamenti per appena 550 milioni.

Per capire di cosa parliamo, dobbiamo fare un passo indietro al 2009, quando a seguito della gravissima iperinflazione, lo Zimbabwe decise di abbandonare il dollaro locale o “zim dollaro”, adottando come valute di riferimento il dollaro americano, il rand sudafricano, l’euro, la sterlina, lo yen, il pula del Botswana, etc. Di fatto, sia per le transazioni interne che per gli interscambi con l’estero venne utilizzato il dollaro americano per una decina di anni. Fino a quando il nuovo presidente Emmerson Mnangagwa non decise un anno fa di vietarne l’uso, sperando di porre fine alla crisi dell’economia, provocata dalla scarsa competitività delle imprese per via della moneta forte utilizzata per commerciare.

I prezzi sugli scaffali dei supermercati aumentano prima di arrivare alla cassa

Fu stampato nuovamente lo zim dollaro come moneta ufficiale e fissato un tasso di cambio attualmente di 17 contro un dollaro. Senonché, memori dei brutti ricordi del 2008-’09, i cittadini non si sono fidati e hanno iniziato a scambiare subito i dollari locali contro quelli americani a tassi più alti sul mercato nero, tant’è che nei giorni scorsi si sarebbe arrivati a 25:1. Un fenomeno, che riecheggia quanto avvenuto negli anni passati nel Venezuela, prima che esplodesse l’iperinflazione con il collasso del bolivar da un lato e la carenza di beni dall’altro.

E anche ad Harare scarseggiano i beni, tra cui il petrolio.

Petrolio contro diamanti

In questi giorni, per dare sollievo alla popolazione, si vocifera che il governo stia negoziando con la compagnia russa Tatneft uno scambio tra petrolio e diamanti. Tatneft è sesto produttore di greggio in Russia con estrazioni per 29,5 milioni di barili nel 2018. E Alrosa, prima produttrice di diamanti al mondo per volume, è anch’essa una compagnia russa e non aspetta altro che mettere le mani sulle pietre preziose dell’ex Rhodesia. Da qui, il baratto stimato in 1,4 miliardi di dollari: ad Alrosa i diamanti, se Tatneft spedisce petrolio, presumibilmente attraverso il porto di Beira, nel Mozambico.

Non saranno questi espedienti a porre fine alla crisi. Nel 2019, il pil sarebbe crollato del 6,5%, l’inflazione a dicembre è esplosa al 521% (39% la variazione mensile a ottobre) e il tasso di disoccupazione si attesta al 95%. Finita la lunga era di Robert Mugabe, da oltre due anni la nuova presidenza non ha fatto intravedere alcun miglioramento delle condizioni economiche, anzi queste sono vistosamente peggiorate e sono state riesumate le peggiori misure dirigiste dei decenni passati. L’apertura al mondo promessa da Mnangagwa non c’è stata, la repressione di ogni forma di dissenso, anche con la violenza, quella è stata confermata.

Sovranità monetaria? Proteste contro l’ipotesi di una nuova moneta nazionale

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