Il Dl Imprese ha ottenuto alla Camera il via libera bipartisan nella parte in cui i prestiti bancari alle imprese garantiti dallo stato al 100% potranno essere restituiti in 10 anni, non più in 6 anni come era stato fissato con i decreti Cura Italia e Liquidità. Parliamo dei prestiti fino al 25% del fatturato e sino ad oggi di importo fino a 25.000 euro, quest’ultimo innalzato adesso a 30.000 euro. E c’è un’altra novità per le imprese di maggiori dimensioni: i prestiti fino a 800.000 euro, garantiti per l’80% dallo stato e per il restante 20% da Confidi, potranno essere restituiti in 30 anni, non più entro i 6 anni sinora previsti.

Inoltre, dovrebbe essere fissato un tasso d’interesse-limite pari al rendistato di pari durata (il rendimento medio dei titoli di stato), maggiorato dello 0,2%. Infine, per ridurre i tempi delle erogazioni dovrebbe essere sufficiente la presentazione di un’autocertificazione.

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Queste modifiche arrivano dopo settimane di polemiche sulle mancate erogazioni dei finanziamenti garantiti alle imprese. Tra lungaggini in fase istruttoria e diffidenza delle banche, le richieste di attivazione delle garanzie al Fondo per le pmi sono state al 20 maggio meno di 304.000 e per un controvalore complessivo di 13,8 miliardi, di cui 5,6 miliardi afferenti i prestiti fino a 25.000 euro. Nulla, rispetto ai circa 500 miliardi di garanzie che il Fondo potrebbe concedere.

Il caso Fiat Chrysler

Di questi, 5 miliardi farebbero riferimento al prestito da 6,3 miliardi richiesto da Fiat Chrysler Automobiles a Intesa Sanpaolo e che per l’appunto dovrebbe ricevere una garanzia statale sull’80% dell’importo. Fa male ai piccoli e medi imprenditori sapere che l’unico effetto visibile che i decreti del governo Conte hanno esitato è stato di far arrivare liquidità a basso costo a chi ne possiede in abbondanza e ha da anni trasferito all’estero la sede legale e quella fiscale, snobbando l’Italia e il suo mercato.

Fa male prendere coscienza che per i piccoli vi siano sempre e solo incombenze burocratiche e lungaggini per commiserare gli spiccioli, mentre per i pesci grossi di problemi non ve ne siano mai.

Il caso FCA sta provocando grande imbarazzo al governo, perché ha fatto emergere il sospetto che il decreto cosiddetto “Liquidità” puntasse a favorire semplicemente i grandi gruppi. Adesso, l’esecutivo e il Parlamento stanno correndo ai ripari, mentre il premier Giuseppe Conte striglia le banche, sostenendo che dovrebbero fare di più la loro parte. Il punto è che se sinora di prestiti garantiti dallo stato alle imprese ne sono arrivati col contagocce, non si capisce perché da domani debbano esserne erogati molti di più e a condizioni ancora più favorevoli. Non sono le leggi a fare il mercato, trattasi del più classico dei contentini mediatici utilizzati per far intendere al Paese che siano le banche a non voler sborsare un quattrino, mentre la politica si starebbe affannando ad aiutare le imprese. Non sarà con le prese in giro che usciremo fuori dalla più potente crisi economica da almeno 75 anni.

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