Il Patto di stabilità resta sospeso fino a tutto il 2022 per il terzo anno consecutivo, a causa della pandemia. Dal 2023, salvo che non si trovi un accordo in sede europea, dovrebbe tornare in vigore. E lo European Fiscal Board (EFB), organismo consultivo della Commissione europea, ha già proposto di mandare in soffitta la principale regola di gestione del debito pubblico: il rapporto massimo del 60%.

Concepita all’inizio degli anni Novanta e introdotta nel Trattato di Maastricht del 1992 per porre le basi alla nascita dell’euro, è da molto tempo considerata non attuale.

E con la pandemia, spiegano gli esperti, è diventata anacronistica, anzi irrealistica da centrare. A seguito dell’impatto tremendo che il Covid ha avuto sulle economie europee, il debito pubblico medio nell’Eurozona è salito al 100% del PIL. Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha notato nei giorni scorsi come lo scarto tra paesi più indebitati e il resto dell’area fosse di 30-40 punti prima della pandemia, mentre adesso arrivi anche a 100 punti.

In sostanza, non avrebbe più senso mantenere in piedi una regola formalmente rigida, ma che quasi nessuno è in grado di rispettare. Da questa presa d’atto, l’EFB ritiene che essa dovrebbe essere rimpiazzata da un nuovo impianto di regole, che tra l’altro potrebbero prevedere l’innalzamento del rapporto massimo consentito al 100%. Tuttavia, in generale le modifiche suggerite appaiono ben più rivoluzionarie. Per prima cosa, mantenere il tetto al deficit del 3%, ma tendere a una maggiore flessibilità nel suo perseguimento.

Debito pubblico, nuove regole europee in vista

Come? Gli esperti sono orientati a ridurre, se non eliminare gradualmente del tutto, la regola del cosiddetto “output gap”. Essa consiste nel concedere maggiori margini di manovra fiscale ai paesi con un’economia al di sotto del potenziale, minori ai paesi con un’economia sopra il potenziale.

Il problema, come abbiamo notato negli anni con l’Italia, è che le metodologie di calcolo dell’output potenziale variano parecchio tra di loro e a seconda di quale si adotti si possono ottenere risultati anche contrastanti. Ad esempio, poiché l’economia italiana era rimasta sotto i livelli del 2007 prima della pandemia, secondo Bruxelles l’output massimo stesso sarebbe nel frattempo sceso, per cui il governo di Roma non avrebbe avuto diritto a reclamare flessibilità fiscale. Un paradosso, ma tant’è.

Invece, spiega l’EFB, la Commissione dovrebbe vigilare per evitare che i governi compiano errori grossolani nella gestione delle finanze pubbliche, evitando di sindacare su ogni singola misura. Ed ecco la proposta di una nuova regola aurea: un tetto annuo alla crescita della spesa primaria. Cosa significherebbe nel concreto? Fatto salvo il deficit massimo al 3% del PIL, ogni anno i governi dovrebbero aumentare la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito non oltre un tasso-limite consentito. Verosimilmente, esso sarebbe agganciato al tasso di crescita del PIL. Esempio: l’economia italiana è cresciuta in un dato anno del 3% nominale (crescita reale + inflazione), per cui la spesa primaria (per scuola, sanità, pensioni, sussidi, investimenti e altro) non potrà aumentare oltre una percentuale legata a quel 3%.

Tenendo a bada la spesa primaria, in buona sostanza, i governi dovrebbero riuscire a stabilizzare il rapporto tra debito pubblico e PIL e farlo anche scendere. Ma con quel realismo invocato dal commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni. Non trova accoglimento, invece, una proposta che da anni si leva nel Sud Europa: lo scorporo degli investimenti pubblici dal calcolo del deficit. Meglio per l’EFB creare un budget comune, che potenzi tali investimenti. Il tema di fatto per il momento neppure si pone, dato che il “Recovery Fund” non fa altro che realizzare quanto richiesto dagli esperti, pur temporaneamente, offrendo sostegno alle economie più deboli, come richiesto da queste.

Su questi punti, però, bisogna registrare le prese di posizione dei paesi “frugali”, Austria in testa, contrari ad allentare le regole fiscali, sostenendo che i governi dovrebbero pensare a ricostituire quei margini da utilizzare alla prossima crisi.

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