Nei giorni scorsi, la BCE ha notato nel suo Rapporto mensile che l’Italia è l’unico stato membro dell’Eurozona, in cui il differenziale tra tasso d’interesse medio sul debito e crescita nominale del pil si mostra positivo. In tutti gli altri 18 stati, esso risulta negativo e per quanto si prevede che salga in 12 di essi, in nessun caso dovrebbe portarsi in territorio positivo. Vi abbiamo spiegato come ciò significhi sostanzialmente che saremmo l’unica economia ad essere costretti a chiudere ogni anno i bilanci con un avanzo primario, al solo fine di stabilizzare il rapporto debito/pil.

Nel resto dell’area, i governi possono permettersi di registrare persino contenuti deficit primari, senza che ciò faccia innalzare tale rapporto. Una condizione peculiare, che ci pone dinnanzi a problemi di crescita e che nei fatti si sostanzia in un circolo vizioso, dal quale non riusciamo più a uscire da oltre un quarto di secolo.

Il circolo vizioso che deprime l’economia italiana e fa impennare il debito pubblico

Nel grafico di sopra, abbiamo suddiviso in lustri il periodo che va dal 1980 ad oggi (l’ultimo periodo si conclude al 2018, per cui è un quadriennio). Notiamo come l’Italia abbia prodotto, in valore assoluto, più debiti che pil in 5 degli 8 periodi considerati. Fanno eccezione il primo quinquennio degli anni Ottanta, sebbene sia stato quello in cui maggiore risulta la variazione percentuale del debito (+202,4%). Semplicemente, si partiva da livelli ancora relativamente bassi e l’alta inflazione sostenne allora la crescita del pil, che fu di 260 miliardi di euro, pari al +94%.

Pesa la bassa crescita

Invece, tra la metà degli anni Novanta e quella del primo decennio del 2000, la crescita del debito fu effettivamente contenuta e inferiore sia in valore assoluto che percentuale al pil. Furono gli anni della marcia di avvicinamento prima e dell’ingresso nell’euro dopo.

Contribuì al forte rallentamento della dinamica debitoria il crollo dei rendimenti sui BTp, che arrivarono a mangiarsi un ottavo del pil nel 1993, più che dimezzandosi già verso la fine degli anni Novanta. Ad ogni modo, dalla metà di quel decennio ad oggi, mai il debito ha segnalato di crescere a ritmi preoccupanti, nemmeno nel quinquennio 2005-’09, quando da allora toccò il suo massimo con il +22,1%, pari al 4,1% medio annuo.

Debito pubblico italiano trattato come spazzatura

Il punto è la bassa crescita nominale, oltre che reale. Il nostro pil cresce a un’unica cifra da tre lustri, di appena il 3,1% nel periodo 2010-’14. Questo innalza il rapporto debito/pil e rende più urgente che altrove (vedi Francia) misure di contenimento della spesa pubblica e/o di aumento delle entrate, ossia l’austerità fiscale. In effetti, siamo entrati in una spirale preoccupante. Per ogni euro di debito in più, il pil aumenta di meno, pure di molto: di 39 centesimi nel 2005-’09, di soli 13 centesimi nel quinquennio successivo, risalendo a un ancora insufficiente 74 centesimi dal 2015. L’apice fu raggiunto nel 1995-’99 con un rapporto di 2,1, seguito da 1,68 nel lustro successivo. Di questo passo, serviranno avanzi primari sempre più sostenuti, ma insostenibili per un’economia italiana depressa.

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