I contatti tra il governo argentino e i dirigenti del Fondo Monetario Internazionale erano stati avviati a inizio febbraio a Roma, nel corso di un evento celebrato in Vaticano e che ha visto la partecipazione del direttore generale dell’istituto, Kristalina Georgieva, e del ministro delle Finanze di Buenos Aires, Martin Guzman. Nei giorni scorsi, sono entrati nel vivo, finalizzati a verificare le condizioni finanziarie in cui versa l’economia sudamericana. Il responso dell’FMI è stato piuttosto chiaro: il debito sovrano dell’Argentina appare “non sostenibile”.

Troppo alti dovrebbero essere gli avanzi primari nei prossimi anni, non tollerabili sul piano politico ed economico.

La sentenza dell’organismo internazionale sembra una pietra tombale posta sulle speranze degli obbligazionisti di subire perdite limitate da un’eventuale ristrutturazione. Invece, pare proprio che servirà una profonda revisione delle condizioni contrattuali, compreso il temuto “haircut”. Ad oggi, i creditori internazionali hanno creduto che l’accordo sulla ristrutturazione a cui punta il presidente Alberto Fernandez entro marzo consista solamente nell’allungare le scadenze dei bond, non anche nel tagliare il loro valore nominale e/o quello delle cedole.

L’FMI, invece, si è arreso all’evidenza, anche perché esso stesso subirà alcune perdite. Ha stanziato 57 miliardi di dollari nella primavera di due anni fa, il prestito più grande di sempre mai varato per un solo paese. Al tempo, il governo era retto dal liberale Mauricio Macri, che nell’autunno scorso ha perso le elezioni presidenziali contro la coalizione peronista del duo Fernandez (la vice è l’ex “presidenta” Cristina, vedova di Nestor Kirchner). Il nuovo governo ha rinunciato a ricevere gli ultimi 13 miliardi del piano, per cui le esposizioni verso l’istituto ammontano a 44 miliardi. E Buenos Aires ha chiarito da mesi di non essere in grado di rimborsarli nei tempi e nelle modalità fissati.

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Allarme tra i creditori

A differenza dei creditori privati, che rischiano con i loro soldi, l’FMI non può subire alcun “haircut” dei prestiti elargiti, in quanto questi sono soldi appartengono agli stati membri.

Tuttavia, la realtà imporrà anche ad esso qualche sacrificio, come l’allungamento delle scadenze e il taglio delle cedole, se non la loro sospensione vera e propria. Sui 100 miliardi di dollari raccolti dall’Argentina sui mercati internazionali, le perdite rischiano di essere ben più pesanti. A seguito del default del 2001, quasi 100 miliardi di cosiddetti “Tango bond” subirono una decurtazione del 70% e un “roll over” delle scadenze.

L’Argentina ha debiti da rimborsare per 34,3 miliardi entro il prossimo marzo, sebbene solamente per 4,2 miliardi emessi sotto le leggi internazionali, per cui potrebbe anche riuscire nel breve a rimborsare tutte le obbligazioni in mano ai creditori stranieri, concentrandosi a rivedere unilateralmente le sole obbligazioni emesse sotto la legge locale, quelle in mano agli stessi argentini. Difficile, però, che le perdite vengano confinate in patria. I peronisti al governo, da Kirchner in poi, hanno una lunga storia di battaglie legali con i fondi stranieri e di rapporti tesi, per non dire azzerati, con l’FMI.

Guzman, il più moderato nel governo, ha sempre espresso il convincimento che l’Argentina non abbia bisogno di effettuare alcun “haircut”, ma ha anche avvertito che senza una ripresa dell’economia, si arriverebbe inevitabilmente a quella decisione. E per ravvivare l’economia, ha aggiunto, è necessario sfoltire le scadenze nei prossimi anni, così da destinare le risorse alla ripresa e non ai pagamenti dei creditori. Come minimo, ci sarà un allungamento delle scadenze, ma non di qualche anno, come atteso ad oggi dal mercato. L’allarme FMI lascia supporre che il fondo stesso di accollerà qualche perdita, a patto che gli obbligazionisti facciano la loro parte fino in fondo.

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Sarà “haircut”?

E se si trattasse solo di allungare la durata dei bond emessi, sarebbe come ammettere implicitamente che l’Argentina abbia semplicemente un problema di liquidità, non anche di sostenibilità del debito. Non è quello che ha detto l’FMI, smentendo l’ottimismo dell’ex direttore generale, Christine Lagarde, attuale governatore della BCE. In effetti, in questa vicenda se c’è uno sconfitto, oltre il povero Macri, è proprio la francese. La sua strategia del sostegno illimitato e a piene mani di Buenos Aires, fondata sulla convinzione che il paese fosse fondamentalmente solido, si è sgretolata in pochi mesi. L’istituto si era speso per fare tornare l’Argentina sui mercati internazionali e con l’emissione del bond a 100 anni nel 2017, a meno di un anno dalla crisi finanziaria, aveva fatto supporre che avesse ragione.

Per Lagarde, il caso Argentina è diventato assai imbarazzante, avendo dimostrato una visione corta. E per chi dovrebbe assumere decisioni sulla politica monetaria della seconda area economica più grande al mondo non è certo un buon biglietto da visita. Del resto, il maxi-prestito fu stanziato dopo che sotto Macri il rapporto debito/pil era già esploso di circa 35 punti, anche come conseguenza del collasso inarrestabile del cambio, dopo la liberalizzazione di fine 2015. In sostanza, troppi gli errori di valutazione, non solo tra i ministri argentini.

L’Argentina dell’eterna crisi ha un problema Fernandez

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