Il programma del centro-destra, in vista delle elezioni politiche del 4 marzo, è pronto. E’ stato siglato pochi giorni fa dai tre leaders: Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Uno dei punti qualificanti e dall’impatto mediatico più significativo riguarda l’abrogazione della riforma Fornero. Tra l’ex premier e il segretario leghista, cambiano solo gli accenti per ragioni di puro marketing elettorale, ma entrambi avrebbero concordato sul superamento della riforma delle pensioni del 2011, che il capogruppo uscente di Forza Italia, Renato Brunetta, definisce “ingiusta sul piano sociale”, in quanto avrebbe fatto piangere, più che l’allora ministra, i diretti interessati, esodati in primis.

Brunetta cerca di spiegare il cambio di rotta della coalizione: la collega Fornero, spiega, si trovò “con la pistola puntata alle tempia” dai mercati e dalla UE e sarebbe stata costretta a varare una riforma frettolosa con sconquassi sociali evidenti.

Il premier Paolo Gentiloni, che si sta esponendo poco e niente in campagna elettorale, pur rivendicando conti pubblici in ordine, ha avvertito che non vi sarebbe spazio per “le cicale” e il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato venerdì scorso che la sfida alle elezioni sarebbe tra “costruttori e distruttori”. Un chiaro riferimento anche al centro-destra, che vorrebbe disfarsi di una legge impopolarissima.

In un altro articolo, vi abbiamo spiegato come la cancellazione della riforma Fornero potrebbe avvenire persino a costo zero o risparmiando ulteriori quattrini dei contribuenti. Non è fanta-economia, ma sono numeri precisi: gli italiani, nonostante l’innalzamento dell’età ufficiale, continuano ad andare in pensione mediamente a 62 anni, utilizzando le svariate e costose scappatoie normative, tra cui le pensioni di anzianità con una contribuzione sempre più elevata. Se, per ipotesi, il prossimo governo dicesse “da oggi si va in pensione anche a 63 anni, ma in nessun caso prima”, lo stato risparmierebbe denaro, perché l’età media effettiva di pensionamento salirebbe di un anno rispetto a oggi.

Dunque, cancellare la riforma Fornero in maniera costruttiva non sarebbe lesa maestà, ma esercizio di serietà. Certo, non sappiamo quale sarà il progetto del centro-destra, che raccogliendo istanze anche tra loro contraddittorie potrebbe finire effettivamente per peggiorare i conti pubblici. (Leggi anche: Cancellare la legge Fornero non è lesa maestà, purché non si torni al passato)

I ripensamenti sui conti pubblici

La cancellazione della riforma Fornero non è l’unica misura “distruttrice”, per usare un termine di Padoan. Tutta la politica italiana, partendo dalla sinistra di Pietro Grasso e finendo con Casa Pound, si mostra oggi contraria, pur con venature diverse, al pareggio di bilancio come obiettivo di politica fiscale. Eppure, esso è stato inserito in Costituzione nel 2012, per cui sarebbe a tutti gli effetti parte della nostra Carta fondamentale e vincolante. Al contrario, abbiamo il segretario del PD ed ex premier, Matteo Renzi, proporre da tempo che si sfondi il tetto del deficit al 3% del pil per sostenere la ripresa economica. E avete per caso sentito parlare di Fiscal Compact? Recepito anch’esso nel 2012 dall’allora governo Monti e dalla sua maggioranza amplissima in Parlamento (esclusi Lega Nord e Italia dei Valori), trattasi di quell’accordo europeo, che impone agli stati dell’Eurozona di tagliare di un ventesimo all’anno per 20 anni il rapporto debito/pil eccedente il 60%.

Riforma Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione e Fiscal Compact sono i dogmi su cui i partiti “responsabili” hanno impostato le loro azioni degli ultimi anni, salvo presentarsi agli elettori più o meno tutti, chi più esplicitamente e chi meno, sostenendo che siano stati frutto di errore di calcolo, di politiche ingiuste e persino controproducenti. Come si può pensare di rafforzare l’infima fiducia tra gli italiani, quando si segnala loro una erraticità di pensiero e di azioni su temi così importanti? I ripensamenti recenti, nel migliore dei casi, dimostrerebbero agli italiani che i loro rappresentanti non sarebbero liberi, sereni o capaci di votare con il dovuto raziocinio i provvedimenti sottoposti alla loro attenzione.

Insomma, una miopia rovinosa, perché due sono le cose: o si sono sbagliati allora ad approvare le misure che ora rinnegano o stanno sbagliando adesso a metterle in discussione. Un pessimo biglietto da visita all’appuntamento con le urne. (Leggi anche: Fiscal Compact, tassi BCE e il possibile accerchiamento dell’Italia)

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