Sulla base dei risultati elettorali di domenica sera, Giorgia Meloni sarà nominata premier dal presidente Sergio Mattarella entro le prossime settimane. Forte di una solida maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, il centro-destra dispone adesso delle condizioni ideali per governare. Ma non poteva esserci momento peggiore per il debutto del nuovo esecutivo. Tra caro bollette, inflazione ai massimi dal 1986, crisi energetica, recessione economica alle porte e guerra tra Russia e Ucraina, il notiziario quotidiano si è trasformato da mesi in una sorta di bollettino delle dieci piaghe d’Egitto.

La leader di Fratelli d’Italia non avrà tempo per luna di miele e ingresso spensierato a Palazzo Chigi. Ad attenderla ci saranno numerosi dossier da esaminare e a cui rispondere in brevissimo tempo.

Per prima cosa, dovrà agire in fretta contro il caro bollette. Il governo uscente ha approvato un altro pacchetto di aiuti a imprese e famiglie per 17 miliardi di euro. Non basteranno. Considerato che il prossimo governo dovrebbe insediarsi alla fine di ottobre e che la legge di Bilancio andrà varata e approvata dal Parlamento entro fine dicembre, non ci sarà il tempo materiale neppure per perdersi in riunioni e riflessioni sul da farsi. Il futuro ministro dell’Economia, se il nome fosse già pronto e concordato ufficiosamente con il Quirinale, dovrà già elaborare un piano per reperire risorse con cui sventare i rincari esplosivi di luce e gas.

Servono miliardi contro caro bollette

In campagna elettorale, Meloni si è espressa contro lo scostamento di bilancio per fronteggiare il caro bollette, reagendo così alla proposta in tal senso dell’alleato Matteo Salvini. Fu una scelta tattica per rassicurare i mercati. Adesso, però, che i denari dovrà metterglieli davvero, da qualche parte dovrà trovarli. E il ricorso all’indebitamento, pur come extrema ratio, resta probabile. Ma se lo spread non le lasciasse margini di manovra, l’operazione si farebbe complicata sul piano della stessa comunicazione.

Peraltro, l’economia italiana rischia di entrare in recessione proprio in questi ultimi mesi dell’anno. Far quadrare i conti pubblici sarà difficile. L’obiettivo fissato nel DEF dal governo Draghi per il 2023 è tendere a un deficit al 3,9% del PIL dal 5,6% di quest’anno. In assenza di crescita o in recessione, la discesa rischia di rallentare. E i mercati non la prenderebbero bene. Nel frattempo, c’è il PNRR. Meloni invoca la sua rinegoziazione per adeguarlo alle mutate condizioni per via dell’alta inflazione. L’Unione Europea prevede già qualcosa di simile, ma c’è il rischio di perdere tempo nelle trattative e far slittare così l’erogazione delle prossime tranche. E l’economia italiana, privata di decine di miliardi di euro, andrebbe ancora di più a ramengo.

Rischio consumi razionati e aziende chiuse

E la crisi energetica d’inverno si farà sentire non solo con il caro bollette. Se la Russia chiuderà i rubinetti del gas, oltre a farne esplodere ulteriormente i prezzi, ci priverà dell’energia sufficiente per riscaldare e illuminare le abitazioni, gli edifici pubblici, le strade e mantenere attivi gli impianti produttivi. Scatterebbe un impopolarissimo razionamento dei consumi, con la conseguenza che molte attività sospenderebbero la produzione con contraccolpi per la crescita. Tutto questo mentre la BCE aumenta i tassi d’interesse per arrestare la corsa dei prezzi al consumo.

Uscire indenni da questo coagulo di sciagure non sarà facile. Solo nello scenario di fine della guerra russo-ucraina s’innescherebbe forse un circolo virtuoso: il prezzo del gas scenderebbe con la maggiore offerta, l’inflazione ripiegherebbe, la BCE smetterebbe di alzare i tassi d’interesse e l’economia attutirebbe il colpo. Ma Mosca si prepara a intensificare l’offensiva contro Kiev. Si prospetta un lungo stallo sul piano militare, che sarebbe lo scenario peggiore per noi economie importatrici di materie prime dell’Occidente.

No, Giorgia non avrà il tempo di godersi la probabile nomina a premier. Il tempo di un brindisi dopo il giuramento e dovrà indossare l’elmetto per scendere sul campo di battaglia.

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