Secondo le stime preliminari della banca centrale di Caracas, di cui è entrata in possesso l’agenzia di stampa Reuters, il pil in Venezuela è crollato del 18,6% nel 2016, mentre l’inflazione sarebbe esplosa all’800%. L’anno precedente, la contrazione del primo era stata del 5,7% e la crescita della seconda del 180,9%. Cifre spaventosamente negative, che confermano ciò che 30 milioni di abitanti del paese andino sanno, ovvero che i 5 rialzi del salario minimo in appena un anno non sono stati sufficienti nemmeno alla lontana a tenere il passo dei prezzi, dato che i primi hanno ammontato complessivamente al 454% e portando la retribuzione minima legale ad appena 12 dollari effettivi al mese, stando al cambio vigente sul mercato nero.

(Leggi anche: Venezuela, salario minimo alzato del 50%)

L’iperinflazione sta distruggendo del tutto l’economia venezuelana. Si pensi che un biglietto da 100 bolivar vale oggi appena 2,6 centesimi di dollaro, carta straccia. Eppure, nel 2008 bastava per comprare 50 litri di latte, quando oggi servono 1.800 bolivar per comprarne appena un litro.

Bolivar senza più alcun valore

Che le banconote siano del tutto prive di significato lo dimostra anche il fatto che il governo Maduro, con la scusa di lanciare una “lotta alle mafie”, ha ritirato dalla circolazione i tagli da 100, che erano il 48% del contante nel paese, emettendo gradualmente banconote di taglio maggiore e che arriveranno a regime fino a 20.000 bolivar, queste ultime pare ad appena 5,30 dollari.

La misura sta creando problemi di liquidità enormi in Venezuela, dato che le nuove banconote non sono ancora pronte, i pezzi da 100 non sono più accettati nei negozi e quelli più piccoli non ha nemmeno senso portarli dietro, tanto poco valgono. Quando le banconote più alte saranno emesse, qualche sollievo temporaneo potranno offrirlo ai consumatori, ad oggi costretti a portarsi dietro valigie di soldi per comprare anche roba da pochi dollari. (Leggi anche: Crisi Venezuela, nei negozi si paga a peso)

 

 

 

Banca centrale continua a stampare moneta

Sarà, però, un sollievo di corto respiro, dato che il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’inflazione quest’anno dovrebbe esplodere a non meno del 1.600%, ovvero i prezzi si moltiplicheranno per 16 dai livelli già stellari a cui sono arrivati.

Le banconote da 20.000 bolivar non saranno certamente le più alte che verranno emesse nel paese.

Normale che ciò accada in un paese a corto di dollari, dove la banca centrale ha aumentato l’offerta di moneta solo nel 2016 del 127%, al fine di coprire l’enorme deficit di bilancio, che risulta passato 16,85% del 2015 al 25,7% del pil. A differenza di altri grandi produttori di petrolio, come Russia e Arabia Saudita, nei tempi d’oro del greggio sopra i 100 dollari, il Venezuela non aveva messo da parte nemmeno un centesimo e si è ritrovata, quindi, travolta da una crisi fiscale sin dai primi accenni di calo delle quotazioni.

Persa fiducia nel bolivar, serve cambiare moneta

E così, le riserve valutarie sono crollate dai 43 miliardi di dollari del 2008 ai 10,9 miliardi di oggi. Impossibile che Caracas riesca a onorare il debito estero, anche se non ha effettivamente mancato ad oggi alcun pagamento, scaricando il problema su 30 milioni di consumatori, costretti a travalicare in molti casi il confine con la Colombia per comprarsi qualcosa da mangiare o persino per vendersi i capelli e guadagnarsi qualche prezioso dollaro con cui fare la spesa. (Leggi anche: Default Venezuela evitato, ma rischio esplosione della crisi)

Sono le cronache di un’economia non morente, già morta. A queste condizioni, il brutale regime chavista di Nicolas Maduro potrebbe anche resistere alle sempre più frequenti proteste politiche e spontanee dei venezuelani, ma quel che è certo è che la fiducia nella moneta nazionale non è più recuperabile. Quanti hanno sperimentato il flagello dell’iperinflazione, da ultimo lo Zimbabwe nel 2009, hanno dovuto ritirare tutta la moneta nazionale dalla circolazione e sostituirla con un’altra di nuova emissione.

Così fece anche la Germania nel 1924, mentre lo stato africano ha rinunciato, addirittura, ad avere una moneta propria, adottando un paniere di valute straniere per le transazioni, tra cui il dollaro e l’euro.

 

 

 

 

Obbligata la fine del cambio fisso

Questione di tempo, quindi, e anche il bolivar sarà ritirato. Cambierà nome come il cruzeiro in Brasile nel 1994, trasformatosi in real, oppure adotterà la denominazione di “nuovo bolivar”, come quella turca nel 2002 divenne la “nuova” lira. Ma in tutti i paesi che hanno emesso una nuova moneta, vi è anche stato un “regime change”, cosa che non s’intravede a Caracas. Per questo, il Venezuela sembra più lo Zimbabwe dell’ultra-novantenne presidente Robert Mugabe, dove lo stesso governo in carica da decenni non riesce a riguadagnarsi la fiducia dei cittadini e a introdurre una nuova moneta propria. (Leggi anche: Sovranità monetaria? Proteste contro ipotesi nuova moneta nazionale)

Affinché sia possibile, però, adottare una valuta pesante come il dollaro per gli scambi anche interni si dovrà passare dalla rimozione del cambio fisso, un passo che il regime di Maduro non è in grado di compiere, garantendo la situazione odierna alle élites politiche, burocratiche e militari del paese lauti guadagni da arbitraggio, grazie all’ampia corruzione in voga sul confuso sistema dei cambi multipli.