Hanno scatenato parecchie polemiche i dati di ieri dell’Istat, che per il governo Renzi confermerebbero la ripresa del mercato del lavoro in Italia, mentre per le opposizioni segnalerebbero l’esatto contrario. A luglio, il tasso di disoccupazione è sceso all’11,4% dall’11,5% di giugno. La lieve flessione, però, è stata accompagnata sia dal calo degli occupati di 63.000 unità, sia dall’aumento del numero degli inattivi di 53.00 unità.

Cosa significa? Un disoccupato è conteggiato come tale, se cerca attivamente lavoro e non lo trova.

Poniamo che una donna non abbia alcuna occupazione e si limiti a fare la casalinga, senza iscriversi alle liste di collocamento e senza impegnarsi seriamente a cercare un impiego, perché tanto è convinta di non poterlo trovare. Si tratta del famoso fenomeno degli “scoraggiati”, ovvero di coloro che rinunciano a priori a cercare lavoro, perché sono sfiduciati.

Jobs Act ha fatto bene?

Ebbene, gli scoraggiati non sono tecnicamente disoccupati, per cui la valutazione del mercato del lavoro e del suo stato di salute deve essere effettuata con un’analisi più ampia dei dati. Il governo Renzi rivendica i successi su questo versante, grazie al suo Jobs Act, che avrebbe stimolato le assunzioni a tempo indeterminato, anche se riconosce che serva fare di più.

Poiché i numeri non sono né di destra, né di sinistra, vediamo quale sia ad oggi la situazione evolutasi sotto l’attuale esecutivo, rispetto a quella che si è trovata in eredità quest’ultimo, quando entrò in funzione nel febbraio del 2014. In quel mese, l’ultimo del governo Letta, il tasso di disoccupazione era del 13%, record storico dall’inizio delle rilevazioni Istat dal 1977. Due mesi fa, come detto, risultava sceso all’11,4%.

In valore assoluto, erano alla ricerca di un posto di lavoro 3,3 milioni di persone due anni e mezzo fa, mentre a luglio erano 2,944 milioni. Il calo è stato, quindi, di poco più di circa 360.000 unità.

 

 

 

Confronto con febbraio 2014

Nel febbraio 2014, l’occupazione era pari al 55,2% per 22,216 milioni di lavoratori impiegati. Due mesi fa, l’occupazione era salita al 57,3%, pari a 22,765 milioni di impiegati. In valore assoluto, quindi, si registra una crescita di 550.000 posti di lavoro.

Il miglioramento si ha anche per la classe di età tra i 15 e i 24 anni, che ha visto scendere dal 42,3% al 39,2% il tasso di disoccupazione, anche se nel luglio scorso si è avuta una brusca impennata del 2%.

E passiamo agli inattivi, ossia a coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano: erano il 36,4% della popolazione attiva a inizio mandato, mentre oggi sono il 35,2%. In termini assoluti, si è passati da 14,37 milioni a 13,66 milioni di unità, ossia si è avuto un calo di oltre 700.000 unità.

Disoccupazione Italia in calo sotto Renzi, ma numeri non sono esaltanti

Riassumendo: sotto Renzi, i disoccupati sono scesi di 360.000 unità, gli occupati sono cresciuti di 550.000 unità e gli inattivi sono diminuiti di 700.000. Il quadro è in miglioramento senza dubbio, anche se non di molto. Si tenga conto che nel frattempo si è registrato un calo di oltre mezzo milione di unità tra la popolazione in età lavorativa, come si evince dalla somma tra occupati, inattivi e disoccupati nei due periodi: si passa dai quasi 40 milioni di persone a poco più di 39,4 milioni. A parità di popolazione in età lavorativa, il tasso di occupazione sarebbe cresciuto solo al 56,6%.

In definitiva, i dati si prestano effettivamente a una doppia lettura, nel senso che mostrano da un lato un miglioramento del nostro mercato del lavoro, ma anche un’elevata componente di inattivi, segno della costante sfiducia degli italiani verso la nostra economia. Meno di due su tre tra i 15 e i 64 anni partecipano al mercato del lavoro, un dato più o meno simile prima e con Renzi.