Si potrebbe fare facile ironia sul tentativo del primo governo “sovranista” d’Italia di sventare una crisi dello spread in autunno ricorrendo all’aiuto di Russia e Cina, quest’ultima la potenza economica contro cui proprio Lega e Movimento 5 Stelle vorrebbero erigere un muro doganale, in difesa del Made in Italy. Se il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, vorrebbe far fruttare le sue relazioni con Pechino per convincerne le autorità a investire in BTp parte delle riserve valutarie da 3.000 miliardi di dollari, il collega alle Politiche europee, Paolo Savona, ha parlato esplicitamente della necessità per la BCE di intervenire nel caso in cui sui mercati finanziari esplodesse una crisi ai danni del debito pubblico italiano.

Il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, vorrebbe che tale intervento, attraverso l’acquisto dei nostri titoli di stato, fosse automatico con uno spread a 150 punti base. Savona si spinge oltre e ritiene che nel caso di mancato sostegno da parte di Francoforte, l’Italia ricorrerebbe all’aiuto di Mosca.

La crisi del debito italiano travolgerà l’euro, Draghi sarà costretto a intervenire in autunno

Lo stesso ministro ammette che ciò creerebbe un problema di politica estera per il nostro Paese. E vorremmo vedere. Vladimir Putin figura in alto nella “black list” di UE e USA dopo l’occupazione della Crimea e lo smembramento dell’Ucraina. Più che altro, poi, non si capirebbe come, anche volendo, il Cremlino possa darci una mano sul serio, disponendo la Russia di riserve valutarie per appena 395 miliardi di euro, poco più dell’importo medio necessario all’Italia per rifinanziare annualmente il suo stock di debito. Vero è che non servirebbe, almeno in teoria, che la Russia acquistasse davvero sul mercato secondario (o anche alle aste del Tesoro) tutti i BTp in scadenza, essendo sufficiente che coprisse le emissioni con una garanzia credibile.

Il problema sta tutto qua, ossia nel tasso di credibilità che un eventuale annuncio di questo tipo avrebbe tra gli investitori.

Diverso sarebbe un intervento in tal senso della Cina, che con riserve per 3.000 miliardi di dollari avrebbe la possibilità di convincere i mercati, se non fosse che Pechino di tutto avrebbe bisogno in questa fase, fuorché di inimicarsi anche la UE nel bel mezzo di uno scontro epocale con l’America di Donald Trump. Si consideri, infine, che sia i russi che i cinesi dovrebbero mettere in conto perdite potenziali anche elevate per l’effetto cambio, essendo i BTp denominati in euro, una valuta apparentemente destinata a rafforzarsi nei prossimi anni contro rublo e yuan, a seguito dell’uscita dagli anni di accomodamento monetario.

L’intervento dell’America di Trump

Davvero non ci sarebbe nessuno, ad eccezione della BCE e su richiesta del governo italiano con l’OMT, a poterci dare una mano ad evitare un’impennata dello spread? In teoria, sì. E si chiama Trump. I rapporti con l’Italia sono ottimi, essendo il governo giallo-verde il più schierato in Europa con la Casa Bianca. E il presidente americano potrebbe sollecitare la Federal Reserve a intervenire per garantire le emissioni italiane. Trattandosi della banca centrale più grande al mondo, basterebbe una dichiarazione per far crollare lo spread o anche piccoli acquisti per diverse sedute di fila a segnalare ai mercati che meglio sarebbe non sfidare l’istituto. Il risvolto politico dell’operazione sarebbe enorme per Washington: l’Italia verrebbe praticamente sganciata dalla sfera d’influenza franco-tedesco e attirata a sé senza se e senza ma.

Attacco finanziario contro l’Italia? Una crisi più grande potrebbe salvarci

Ma quanto sarebbe credibile un simile scenario? Pur mettendo in conto l’atteggiamento al limite dell’istrionico di Trump, un passo del genere equivarrebbe a dichiarare “guerra” alla UE.

Sarebbe un’interferenza bella e buona negli affari economici di un’altra area “sovrana”, come se la Fed dicesse alla BCE “non sei stata capace di tutelare un tuo stato membro, adesso ci penso io”. Come se dinnanzi al rischio di fallimento di Lehman Brothers, Francoforte fosse scesa in campo come prestatore di ultima istanza. L’effetto paradossale dell’intervento di Trump sarebbe l’allontanarsi dello spettro di una scomparsa dell’euro, almeno nell’immediato, visto che all’Italia verrebbe garantito un ennesimo salvagente a cui aggrapparsi sui mercati per galleggiare per un altro po’. D’altra parte, però, segnerebbe uno scontro campale tra USA e UE.

Non facciamoci illusioni. L’Italia non riceverà aiuti gratis e all’infuori dell’Eurozona. Peraltro, il “quantitative easing” è stato attuato sul presupposto che Roma facesse i suoi compiti dopo l’approvazione del Fiscal Compact nel 2012. Non è avvenuto, come dimostrano i conti pubblici, sostanzialmente invariati rispetto al 2013, al netto dei risparmi sul costo del debito, garantiti proprio dal QE. L’unica speranza risiederebbe nella consapevolezza a Francoforte che un attacco finanziario sferrato ai nostri BTp equivarrebbe a scommettere contro l’euro. Vedremo se prevarrà l’istinto di sopravvivenza o se la stanchezza per una Italia, che da troppi anni viene percepita ormai come un male con cui convivere.

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