La BCE sarebbe vicina a tagliare i tassi. Se già una settimana fa, in conferenza stampa, il governatore Mario Draghi aveva ammesso l’esistenza di una tale discussione in seno al board, adesso lo confermano anche i dati sempre più deludenti in arrivo dal mercato, secondo cui le aspettative d’inflazione a 5 anni nell’Eurozona sarebbero scese ieri al minimo storico dell’1,18%. Poiché Francoforte per statuto deve perseguire un target “vicino, ma di poco inferiore al 2%”, significa che gli investitori siano diventati sempre più scettici sulla capacità dell’istituto di centrare l’obiettivo della stabilità dei prezzi.

Non è un problema da poco, perché ciò implica il rischio di essere percepiti poco credibili in merito alle azioni di politica monetaria, le quali diverrebbero meno efficaci. Inoltre, la BCE rischia anche di disancorare al ribasso le aspettative d’inflazione, perdendone il controllo.

La BCE dopo Draghi litigherà sull’obiettivo d’inflazione?

Ma esattamente, come si misurano queste ultime? Nell’Eurozona, il dato più monitorato si chiama “5y5y inflation swap rate”. Negli USA, dove esiste un solo mercato del debito sovrano, si fa molto affidamento perlopiù alla differenza (“breakeven”) tra rendimento del Treasury a 5 anni con cedola fissa e quello dell’omologo con cedola legata all’inflazione. L'”inflation swap rate” a 5 anni segue le aspettative sulla variazione dei prezzi attesa dagli investitori. Di cosa si tratta?

Come per qualsiasi “swap” sui tassi, parliamo di un contratto stipulato tra due parti, di cui una s’impegna a corrispondere all’altra un tasso fisso periodico legato al valore nozionale sottostante, mentre l’altra s’impegna a corrispondere un tasso variabile e legato all’inflazione. La differenza tra i due tassi ci fornisce la misura attesa dell’inflazione per il periodo coperto dal contratto. Quello a 5 anni è diventato il parametro di riferimento per captare le aspettative del mercato nel medio-lungo termine. In pratica, le due parti regolano i pagamenti con riferimento non al rischio d’interesse, bensì d’inflazione.

Il legame tra aspettative d’inflazione e petrolio

Colui o colei che paga il tasso fisso all’altra parte si tutela dal rischio di un aumento dei prezzi, in quanto se l’inflazione accelera, pagherà un tasso reale più basso, mentre riceverà un tasso nominale più alto. Viceversa, chi s’impegna a pagare periodicamente un tasso d’interesse legato all’inflazione scommette su una sua stabilità o persino sulla sua riduzione. Se vince la scommessa, riceverà un tasso fisso reale stabile o in aumento, mentre pagherà un interesse nominale stabile o inferiore. Chiaramente, se in generale il mercato si attende un’inflazione in crescita, le parti si regoleranno di conseguenza con i contratti swap. Come? Il tasso variabile preteso e legato all’inflazione sarà più basso, mentre quello fisso più alto. E la differenza tra i due evidentemente si amplia, segnalando aspettative rialziste sui prezzi. Viceversa, come in questa fase, segnala aspettative ribassiste.

Nel grafico di cui sopra, notiamo come l’andamento dell'”inflation swap rate” a 5 anni nell’Eurozona segua quello delle quotazione del petrolio.

In effetti, sempre ieri il Brent è sceso sotto i 60 dollari, ai minimi da 5 mesi, perdendo il 20% rispetto solamente alla metà del maggio scorso. E il greggio influenza direttamente la struttura dei prezzi, specie delle economie importatrici, impattando sui costi energetici e di trasporto, i quali a loro volta si trasferiscono sui prezzi di tutti gli altri beni e servizi. E non a caso una minima reflazione nella seconda metà del 2018 vi era stata solo a seguito del surriscaldamento delle quotazioni petrolifere, che aveva sostenuto le aspettative d’inflazione di circa lo 0,3%, ma pur sempre sotto il target.

Cambio euro-dollaro e petrolio, due alert per la BCE di Draghi

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