La sedicesima emissione del BTp Italia si è conclusa con un buon successo, avendo raccolto 22,3 miliardi di euro, di cui 14 attraverso il canale retail. Hanno fatto gola ai piccoli risparmiatori la cedola reale garantita dell’1,40% e quel premio fedeltà raddoppiato allo 0,8%. Il bond si presentava conveniente al suo debutto ed è stato premiato. Resta il fatto che il solo BTp Italia non può salvare le casse statali da eventuali tensioni finanziarie, qualora nel corso dei prossimi mesi dovessimo avere bisogno di raccogliere sui mercati più capitali di quelli che gli investitori sarebbero disposti a offrirci.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è pronto ad erogare aiuti quasi incondizionati, purché vincolati all’impiego nella lotta al Coronavirus.

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All’Italia non servono tanto questi aiuti, quanto prestiti per finalità generali, stimandosi in circa 180 miliardi le emissioni nette per quest’anno. La BCE dovrebbe mostrarsi in grado di assorbirle con il potenziamento del PEPP, il piano anti-pandemia da 750 miliardi di euro entro l’anno e che a giugno potrebbe salire di 500 miliardi. Se così non fosse, si porrebbe seriamente il problema se accettare o meno i prestiti del MES, che costerebbero all’Italia molto meno in termini di interessi, se si considera che un decennale oggi viaggia a un rendimento superiore all’1,60%, mentre un titolo a lungo termine del Fondo salva-stati verrebbe emesso a un rendimento prossimo allo zero.

Tuttavia, esiste un chiaro “trade-off” tra costo e autonomia di bilancio. Minore il primo, minore anche la seconda. Il MES è nei fatti un ente partecipato dagli stati dell’Eurozona, ai quali importerebbe tornare in possesso il prima possibile dei capitali sborsati, monitorando attentamente il bilancio dello stato assistito per verificarne l’andamento e le probabilità di recupero. Non a caso, non vi hanno fatto richiesta né la Spagna, né il Portogallo, né tanto meno Grecia e Francia.

Tutti questi paesi avrebbero potuto attingere almeno ai fondi sanitari, ma se non lo hanno fatto è perché hanno capito che l’operazione finirebbe per sottoporli a un commissariamento di fatto.

Cosa manca al BTp Italia per battere il MES

Ma il solo BTp Italia non basterebbe a salvarci dalle tensioni, non così com’è. I risparmiatori hanno segnalato di essere disposti a investire nel debito pubblico italiano, forse più per assenza di alternative convenienti che non per fiducia nell’asset e men che meno per spirito patrio; ma lo farebbero a caro prezzo, cioè a rendimenti un po’ fuori mercato. Del resto, il retail non è la grande finanza che sposta ingenti capitali. Per investire in un titolo piuttosto che in un altro, esso ha bisogno di differenze marcate di rendimento, altrimenti non noterebbe le differenze di guadagno su risparmi di entità relativamente piccola.

Affinché di alternativa valida al MES possa parlarsi, però, sarebbe necessario, anzitutto, che 1) i prossimi BTp Italia venissero emessi con scadenze più lunghe, magari spostati sugli otto anni, così da allungare la vita media del debito pubblico italiano, ad oggi di 7 anni; 2) che si attirassero molti più capitali, attraverso un sistema incentivante per le detenzioni fino alla scadenza. Ad esempio, lo stato potrebbe consentire ai sottoscrittori di tenere i titoli fino a oltre la data fissata per il rimborso, magari per altri 10-20 anni, incrementando il premio fedeltà e/o aumentando il valore nominale che verrebbe loro corrisposto alla scadenza. A dire il vero, il Tesoro potrebbe optare per un simile incentivo generalizzato su tutti i bond di nuova emissione oltre una certa durata residua (>5/10 anni?), così da attirare a sé capitali stabili e a lunga scadenza dai portafogli delle famiglie.

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Considerando che queste detengano direttamente ormai solamente il 5% dell’intero stock, circa un terzo dei livelli pre-“quantitative easing”, puntare al 15-20% significherebbe rendere più sostenibile i BTp, dato che notoriamente i piccoli investitori li comprano per tenerli fino alla scadenza e non per fare speculazione.

La quota di debito in mani straniere si ridurrebbe così a non oltre il 15% e il contributo alla domanda di banche e fondi speculativi esteri diverrebbe meno significativo, consentendo al Tesoro di consolidare le emissioni e renderle più sicure agli occhi della finanza. Ma serve creare un clima di fiducia tra gli italiani, non solo “svendere” i titoli di stato offrendo rendimenti fuori mercato. In ultima analisi, solo una gestione sana dei conti pubblici e la tutela del risparmio da ipotesi ventilate a ogni piè sospinto di patrimoniali e prelievi forzosi sarebbero capaci di persuadere più risparmiatori a finanziare lo stato.

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