Da inizio anno e fino al lunedì scorso, la lira turca aveva perso poco meno del 60%, arrivata a scambiare fino a 18,36 contro il dollaro. Improvvisamente, il boom. Ieri, segnava un maxi-rialzo di circa il 38% in meno di tre giorni. Per un dollaro, servivano meno di 11,45 lire. Un’inversione di tendenza che resterà negli annali economici planetari e che nessuno riesce a spiegarsi fino in fondo.

Lunedì pomeriggio, il presidente Erdogan annuncia pubblicamente il varo di un piano “salva-risparmi” studiato sin dal 2018 e al tempo osteggiato dall’allora ministro dell’Economia e genero, Berat Albayrak.

Esso consiste essenzialmente nel tutelare i depositi bancari in valuta locale dalle fluttuazioni del cambio. I risparmiatori turchi avranno diritto a percepire la remunerazione più alta tra i tassi d’interesse offerti dalla banca e il deprezzamento accusato nel periodo di deposito dalla lira turca.

Il piano riguarderà i depositi a 3 e 12 mesi e prevede anche l’esenzione fiscale sugli investimenti nelle obbligazioni domestiche. Il solo effetto annuncio avrebbe generato vendite di dollari per 1 miliardo nel giro di un paio di ore. In pratica, le famiglie si sarebbero convinte che i depositi in lire siano protetti e avrebbero reagito immediatamente rifuggendo dal dollaro. Tuttavia, il Financial Times stima che solamente tra lunedì e martedì di questa settimana la banca centrale turca abbia venduto 5,9 miliardi di dollari delle sue riserve valutarie, scese a -5,1 miliardi netti.

Lira turca su con il rischio sovrano

Qualche trader a Londra calcola la cifra a circa 7 miliardi. Sui mercati si sarebbe notata una vendita coordinata di dollari per ravvivare la lira turca subito dopo il discorso del presidente Erdogan; come se le banche di Ankara, specie quelle controllate dallo stato, abbiano voluto far passare il messaggio che il piano “salva-risparmi” funzioni e abbia già ripristinato la fiducia dei risparmiatori. Di certo, è aumentata la sfiducia degli investitori verso il debito sovrano, come segnala il boom dei cds.

Il loro costo a 5 anni è passato dai 522 punti base di lunedì ai 624 di ieri. Il rischio default sostanzialmente è percepito più elevato.

In effetti, se la ripresa della lira turca fosse dovuta almeno in parte alla vendita delle riserve valutarie, da qui a breve la banca centrale rischierebbe di restarne a corto. Non solo il cambio sprofonderebbe a livelli ancora più infimi di quelli toccati a inizio settimana, ma si scatenerebbe nel giro di qualche mese una grave crisi della bilancia dei pagamenti. La Turchia non avrebbe più dollari per onorare i debiti esteri, contratti sia nel settore privato che nel pubblico. Inoltre, il piano “salva-risparmi” altro non è che un rialzo dei tassi a carico dei conti pubblici. Lo stato si accollerà costi elevati, i quali sarebbero monetizzati, finendo per accelerare l’inflazione e il deprezzamento valutario.

Saremmo dinnanzi a un bluff concertato tra governo e sistema bancario domestico controllato dal primo. Un modo per far guadagnare tempo a Erdogan, il quale doveva offrire una risposta alla crisi della lira turca per non continuare a sprofondare nei sondaggi. Resta da vedere come userà questo tempo, se per assistere passivamente a un calo auspicato e improbabile dell’inflazione o per anticipare la data delle elezioni e cogliere di sorpresa gli avversari per prevalere su di loro ancora una volta. Ma un bluff resta tale, anche se ben congegnato.

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