Lira turca volatile come non mai dopo l’annuncio del presidente Erdogan che tutelerà i risparmi in valuta locale dalle fluttuazioni del cambio. Nel caso in cui i tassi d’interesse offerti dalle banche risultassero inferiori al deprezzamento della lira contro le valute forti, lo stato rimborserà ai titolari la differenza. Un’operazione, che se messa sul serio in atto impatterebbe negativamente sui bond della Turchia.

In un certo senso, il piano di Erdogan sarebbe una sorta di rialzo dei tassi mascherato.

Tuttavia, esso sarebbe a carico dello stato, per cui accrescerebbe i rischi fiscali. Tant’è che il costo per proteggersi dal rischio default turco è salito a 612 punti base, il doppio dei livelli di inizio anno. Per i bond della Turchia, una cattiva notizia. In effetti, abbiamo fatto due conti e trovato che la misura sarebbe fiscalmente non sostenibile.

Bond Turchia, i rischi fiscali

I depositi totali dei risparmiatori turchi ammontano a circa 450 miliardi di dollari, di cui la metà in valute straniere forti. Se la metà denominata in lire fruttasse un tasso d’interesse annuo medio in linea con il rendimento sovrano a 2 anni (sopra il 22%) e il cambio contro il dollaro confermasse su base annua una caduta al 45-50%, lo stato si troverebbe a rimborsare una differenza del 20-25%, qualcosa come 45-50 miliardi di dollari. Sarebbe una cifra pari ad almeno il 6% del PIL. E questo accadrebbe, pur auspicabilmente in misura minore, di anno in anno.

Dunque, i bond della Turchia sono diventati ancora meno appetibili di qualche seduta fa. Oltre al rischio di cambio, adesso scontano anche quello di credito in aumento. Peraltro, il piano “salva risparmi” finirebbe per alimentare ulteriormente l’inflazione, scatenando vendite sempre più massicce di lire contro dollari, euro, etc. Le cause della crisi valutaria si aggraverebbero persino. Infine, non è detto neppure che funzioni.

Tassi volutamente tenuti bassi dalla banca centrale e su ordine di Erdogan resterebbero sotto i livelli d’inflazione, inducendo ugualmente i risparmiatori turchi ad optare per i depositi in dollari, al fine di proteggere il potere d’acquisto.

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