All’inizio era stata Fineco. La banca online comunicava a marzo ai suoi clienti che avrebbe chiuso i loro conti correnti sopra 100.000 euro, nel caso in cui questi non intrattenessero alcuna relazione di credito con l’istituto o non investissero in un qualche prodotto di risparmio gestito. Di recente, anche la sua ex proprietaria Unicredit ha deciso di passare ai fatti. Ma più sottilmente. Per il momento, conti correnti salvi dal rischio chiusura, ma canoni mensili aumentati anche del 70%. Inizia così l’era di Andrea Orcel come CEO della banca dopo Jean-Pierre Mustier.

Cosa c’è dietro a questa “guerra” apparentemente insensata mossa dalle banche italiane, anzi europee, contro i rispettivi clienti? I tassi negativi. La BCE li impone da anni sui depositi delle banche commerciali dell’Eurozona presso i suoi sportelli. Obiettivo: disincentivare il risparmio e incentivare i prestiti all’economia reale. In condizioni monetarie ordinarie, quando le banche portano la loro liquidità in eccesso presso la banca centrale, ottengono un certo tasso d’interesse, esattamente come i loro clienti accedendo conti correnti.

I tassi negativi non solo non remunerano più l’eccesso di liquidità delle banche. Essi finiscono per comprimerne i margini, dato che non è facile trasferirli sui depositi dei clienti, perlopiù per ragioni di concorrenza. E così, se deposito 1 milione di euro su un conto corrente della banca Alfa, questa o riesce a prestarlo a imprese e famiglie o si ritroverà con liquidità in eccesso da parcheggiare presso la BCE, ma subendo un costo. Quand’anche i conti correnti dei clienti non fossero minimamente remunerati, così come accade da tempo, i tassi negativi infierirebbero ugualmente sui margini.

Conti correnti KO, a vantaggio dei BTp

Adesso che le banche si stanno attrezzando per reagire all’era infinita dei tassi negativi, quali saranno le conseguenze? In teoria, esse puntano a trattenere i clienti, ma spingendoli su prodotti d’investimento reciprocamente convenienti.

C’è un problema: i conti correnti non sono del tutto equivalenti per grado di rischio a strumenti finanziari anche un minimo complessi. La famiglia che deposita in banca 150.000 euro, magari in previsione di un grosso acquisto futuro a favore dei figli (casa, studi, etc.), non sarà ben propensa a deviare anche solo parzialmente la sua liquidità su prodotti che impongono l’assunzione di un certo rischio.

Per questo, a ben vedere i beneficiari finali di questa sovversione monetaria sono gli stati, italiano in testa. Qual è in Italia l’alternativa più prossima ai conti correnti per grado di rischio? Tipicamente, i Buoni fruttiferi postali e i titoli di stato. Vecchi ricordi non troppo lontani per le famiglie. A inizio anni Novanta, quasi il 90% del debito pubblico era nelle loro mani. Oggi, per meno di un quinto tra investimenti diretti e indiretti (fondi). Ma se le banche stangano o chiudono i conti correnti, il ritorno di fiamma potrebbe non essere escluso. Pur di non rischiare troppo e di tenersi sostanzialmente liquide, molte famiglie potrebbero optare per investire nuovamente in BTp. Meglio un rendimento pressoché nullo su un titolo di stato a medio-breve scadenza, anziché ritrovarsi con un prodotto rifilato dalle banche dai rischi ignoti.

A dire il vero, anche le banche trovano conveniente acquistare titoli di stato con rendimenti persino negativi, ma pur sempre più alti del -0,5% imposto dalla BCE sui loro depositi oltre un certo livello. Lo stato ci guadagna da entrambe le parti: attira investimenti da famiglie e banche per la semplice necessità che queste hanno di non subire costi dalla detenzione della liquidità. Poiché i tassi negativi non saranno rimossi dalla mattina alla sera, ma verosimilmente resteranno in vigore ancora per anni, in un’ottica di graduale normalizzazione monetaria per lo stato italiano è manna dal cielo.

Potrà rifinanziarsi a costi bassi, specie sulle medio-brevi scadenze. Poco importa se così si sarà distrutto il mercato del credito. Il Tesoro lotta contro lo spettro del default.

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