Basta con i centri commerciali e i negozi aperti anche la domenica. La nuova relatrice per il governo “giallorosso” per il disegno di legge in materia commerciale, Rachele Silvestri del Movimento 5 Stelle, irrigidisce la proposta avanzata dal precedente esecutivo, quando a scontrarsi erano l’M5S con la Lega, prevedendo stavolta la chiusura degli esercizi per tutte le 52 domeniche dell’anno. Farebbero eccezione le città turistiche, alle quali verrebbe concessa l’apertura su turnazione del 25% per settore merceologico. In pratica, in realtà come Roma, aprirebbe di domenica un negozio su quattro a turno e chiaramente in base alla tipologia di appartenenza.

Negozi chiusi di domenica e festivi? La doppia lettura della proposta di Di Maio

Nella precedente versione, il ddl prevedeva la chiusura di 26 domeniche su 52 e durante le 12 festività nazionali, con deroga di 4 giornate da far fissare alle regioni. Nemmeno stavolta, però, il governo si mostra unito sulla questione. Il PD vorrebbe limitare le chiusure a solo 8 domeniche l’anno, Italia Viva non vorrebbe fissarne proprio e punta semmai a garantire maggiori tutele ai lavoratori coinvolti.

Ora, in un’economia stagnante come quella italiana, l’ultima cosa che servirebbe è di non consentire a un’attività economica di esercitare per tutti i giorni dell’anno in cui vorrebbe farlo. Certo, esistono diritti da rispettare, come quelli dei lavoratori dipendenti, siano essi commessi, cassieri, magazzinieri, etc. E sarebbe opportuno agire proprio qui, ad esempio, prevedendo che la turnazione diventi maggiormente premiante sotto il profilo retributivo. Nessuno vuole sottrarre le mamme e i papà ai loro figli e alle loro famiglie, semplicemente dovremmo consentire loro di essere adeguatamente compensati per il tempo trascorso a lavorare quando la gran parte degli altri lavoratori gode di tempo libero.

Centri cittadini “fantasma”?

Il danno che la chiusura domenicale dei negozi infliggerebbe sarebbe di diversa natura.

Il più elementare sarebbe economico e a carico dei titolari: non è vero che i consumatori spalmino i loro acquisti su più giorni, per cui alla fine la merce venduta sia sempre uguale, che di domenica i negozi siano aperti o chiusi. I consumi sono in grossa parte programmati, in parte occasionali, se non “istintivi”. Se faccio una passeggiata in centro e trovo un bar aperto, posso entrarvi per bere un caffè o ordinare una cioccolata o sorseggiare un tè. Avrò speso qualche euro senza averlo pianificato in anticipo e avrò generato business, insieme ad altri milioni di consumatori.

Negozi chiusi la domenica: stop aperture 7 giorni su 7, Di Maio ci riprova

E cosa sarebbero i centri storici italiani senza i negozi aperti la domenica? Piaccia o meno ammetterlo, i commercianti svolgono una funzione sempre più suppletiva delle amministrazioni comunali, specie le più squattrinate. Tenendo le insegne accese, le vetrine illuminate e i negozi aperti, creano un ambiente adatto per generare movimento, vitalità e tutto senza far spendere un solo centesimo ai sindaci, specie nei periodi festivi. I negozi chiusi, specie al sud, sarebbero sinonimo di depressione, non solo commerciale. In molti casi, i cittadini non riterrebbero più allettanti le piazze e le vie principali dei loro comuni, le diserterebbero e finirebbero per fare pressione sulle casse semi-vuote delle amministrazioni per cercare di ravvivare i centri storici.

A chi ribatte che fino a pochi anni fa i negozi restassero chiusi la domenica e non necessariamente i centri delle nostre città fossero fantasma, facciamo notare come i tempi siano molto cambiati e rapidamente. I social hanno reso il contatto umano meno indispensabile e proprio i giovani si sono disabituati a frequentare i luoghi d’incontro dei loro genitori, nonni o anche semplicemente dei fratelli o delle sorelle maggiori. La chiusura dei negozi durante le domeniche sarebbe un incentivo a restarsene a casa, a vivere ancor meno la propria città e a non consumare.

L’opposto di quello che servirebbe per rianimare la nostra economia, essa sì depressa da un bel po’.

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