Dovrebbe essere Olaf Scholz il prossimo cancelliere a capo del nuovo governo in Germania. Le chance di Armin Laschet di diventare il successore di Angela Merkel si vanno riducendo di giorno in giorno. Crescono, invece, le probabilità di un ingresso in maggioranza dell’FDP, il partito dei liberali tedeschi guidato dal 42-enne Christian Lindner. Con 92 seggi conquistati al Bundestag e l’11,5% dei voti ottenuti, ha in mano le chiavi della cancelleria.

Per l’Italia, non è una buona notizia. L’FDP è un partito pro-business ed europeista, ma non come lo intendiamo noi a Roma.

I liberali tedeschi sono contrari alla condivisione dei debiti nell’Eurozona, si battono per il rispetto delle regole fiscali contenute nel Patto di stabilità e si oppongono anche all’unione bancaria.

Non sarà facile per i socialdemocratici di Scholz trovare un’intesa con l’FDP. Molte le differenze proprio in economia, con i primi ad avere promesso l’aumento degli investimenti pubblici, delle tasse sui redditi alti e del salario minimo, tutte misure contro cui Lindner si è già opposto in campagna elettorale. Per lui sarebbe molto più semplice trattare con i conservatori di Laschet e non è ancora escluso che ciò accada. Ad ogni modo, se accordo sarà, con ogni probabilità Lindner si ritroverà ministro delle Finanze, carica che fu del “falco” Wolfgang Schaeuble tra il 2009 e il 2017 e proprio di Scholz dal 2018.

Nuovo governo in Germania, vecchie regole?

L’Italia spera che il Patto di stabilità, sospeso per il triennio 2020-2022 a causa della pandemia, non torni più così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 20 anni e passa. Tuttavia, ci sarà da fare i conti eventualmente con l’FDP, i quali non accetteranno né che l’esperimento del Recovery Fund divenga un fatto permanente, né che le regole fiscali siano allentate. Per intenderci, le emissioni di debito comunitario di questi anni resterebbero un’eccezione e non sarebbero affatto prodromiche alla nascita dei famosi Eurobond.

Ciascuno stato continuerà ad essere responsabile delle emissioni di debito proprio.

Inoltre, nessuna deroga al tetto al deficit del 3% rispetto al PIL. E nessuna garanzia comune sui depositi bancari nell’Eurozona, una misura a cui Mario Draghi ha sempre guardato con estremo interesse per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’intera unione monetaria. In sostanza, la Germania non sarà artefice di alcun cambiamento sperato dal nostro Paese, almeno non nella direzione auspicata. Unica concessione: Lindner ha aperto alla tassazione dei profitti delle multinazionali. Ma per i bilanci pubblici parliamo di noccioline invisibili.

Peraltro, il mantenimento dello “Schwarze Null” di merkeliana memoria, cioè del pareggio di bilancio in Germania, non contribuirebbe ad accrescere le esportazioni italiane verso la prima economia europea. Dovremmo sperare, invece, che il prossimo governo tedesco riesca a tagliare le tasse e ad accelerare il tasso di crescita del PIL, a beneficio dei consumi delle famiglie, cioè anche del nostro Made in Italy. Ma l’esito di queste trattative tra partiti, che si annunciano lunghe e faticose, non appare scontato. Troppe le differenze in partenza per prevedere chi spunterà cosa. Tuttavia, i liberali hanno dalla loro la possibilità di rovesciare il tavolo e allacciare un dialogo con la CDU-CSU nel caso in cui non ottenessero dall’SPD sufficienti garanzie programmatiche. Meglio non farsi illusioni su come finirà.

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