L’ultima pubblicazione dei dati BCE relativi al suo sistema di pagamento Target 2 segnala per novembre un leggero aumento del saldo negativo dell’Italia a 491,7 miliardi di euro, ma sostanzialmente stabile negli ultimi mesi, pur in forte crescita nell’intero 2018 di quasi 53 miliardi. Come spesso abbiamo chiarito, i saldi rispecchiano i rapporti di credito/debito tra le banche centrali dell’Eurozona, a loro volta frutto di scambi commerciali e di flussi dei capitali. In altre parole, la Banca d’Italia è in debito di quasi mezzo trilione di euro verso le altre banche dell’area.

Il governatore della BCE, Mario Draghi, nel 2017 ha spiegato, in risposta a una domanda arrivatagli da due europarlamentari italiani, che tali saldi non vadano regolati, se non nel caso in cui uno stato tornasse alla moneta nazionale, abbandonando l’unione monetaria, nel quale caso i crediti andrebbero riscossi e i debiti andrebbero pagati all’istante. Fino ad allora, resterebbero voci di bilancio teoriche, senza scadenze e nemmeno producenti interessi.

La Germania resta come l’Italia nei pressi dei massimi record, ma con saldi positivi e pari a 941,1 miliardi. In pratica, vanta crediti per un pari ammontare nei confronti dei partner dell’Eurozona. Da quando la BCE ha iniziato ad acquistare titoli di stato e altri assets nell’area con il “quantitative easing”, i saldi positivi tedeschi e quelli passivi degli stati del sud si sono ampliati. Come mai? Tecnicamente, si tratta di titoli venduti dal mercato alle banche centrali nazionali e, in parte, direttamente dalla BCE. Pertanto, abbiamo liquidità in fuoriuscita dai singoli stati. Ad esempio, se un investitore tedesco ha venduto 1 miliardo di BTp alla Banca d’Italia, si ha che la Bundesbank ha incassato tale importo da registrare come attivo, mentre Bankitalia dovrà segnarlo come una voce passiva.

Crisi euro, capitali in fuga da Italia e Spagna verso la Germania

Se questo è vero, analizziamo i dati.

Nel complesso, la BCE e Bankitalia hanno acquistato dal 2015 al dicembre scorso oltre 365 miliardi di euro di BTp e circa altri 70 relativi agli altri assets per un controvalore totale di 435 miliardi. Non è detto chiaramente che si tratti solo di disinvestimenti dall’estero, ma è verosimile che grosso modo lo siano, vista la fuga dai nostri bond sin dal 2011. E, in teoria, se da un lato alcuni investitori stranieri hanno venduto alla BCE, altri avrebbero potuto acquistare titoli italiani, mentre non sembra affatto che sia stato così. In effetti, ipotizzando che tutti i 435 miliardi siano stati venduti da stranieri, ciò spiegherebbe come mai nel periodo il saldo del Target 2 per Bankitalia sia divenuto ancora più rosso di ben 285 miliardi, pari ai due terzi degli acquisti di assets italiani avvenuti con il QE.

Il trend negativo con la crisi

In realtà, la situazione appare peggiore, se si considera che nel frattempo l’Italia ha maturato avanzi commerciali per 175 miliardi verso il resto del mondo, di cui una quota relativa ai partner dell’unione monetaria. In teoria, se non vi fossero state variazioni finanziarie, il saldo si sarebbe dovuto apprezzare per un pari importo, mentre è andato in tutt’altra direzione, con il risultato che oggi esso risulta essere pari al 28% del pil, inferiore solo al 33% della Spagna e al 40% del Portogallo, economie che pagano, però, anche la tendenza a registrare forti disavanzi commerciali. La Spagna presenta un saldo negativo superiore ai 400 miliardi e, tenuto conto degli acquisti dei suoi assets con il QE, anche nel suo caso due euro su tre non sarebbero più tornati indietro.

Quanto alla Germania, il suo saldo positivo è cresciuto sotto il QE di 480 miliardi, ma nel frattempo ha registrato surplus commerciali per quasi 1.000 miliardi, per cui teoricamente nemmeno Berlino avrebbe attratto capitali, seppur in dimensioni fisiologiche.

Anzi, considerando che gli assets tedeschi acquistati dalla BCE sarebbero ammontati a circa 620 miliardi, significa che anche una quota consistente di Bund non sarebbe stata riacquistata da investitori domestici. Contrariamente al caso di Italia e Spagna, hanno remato contro la loro appetibilità certamente i rendimenti gelidi, ancora oggi sottozero per i Bund fino a scadenze medio-lunghe. Non facciamoci illusioni, però, perché la fuga dei capitali ci ha colpiti particolarmente come Italia, se si pensa che fino al 2008 vantavamo un saldo a credito fino a 55 miliardi, mentre la Francia registrava forti passivi. E sia noi che i francesi esibivamo disavanzi commerciali allora (i francesi anche oggi), ma evidentemente nel nostro caso gli afflussi dei capitali ancora ci tenevano in una condizione complessiva positiva. Da allora, tutto è cambiato: l’Italia ha iniziato a macinare esportazioni su esportazioni, ma più che compensate dai deflussi finanziari verso il resto dell’Eurozona, mentre in Francia è accaduto il contrario. L’allargamento degli spread segnala esattamente questo.

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