Le inchieste di Bari travolgono ciò che resta del campo largo, che largo non è mai stato e che nei fatti non è manco esistito. Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte non aspettava altro che una scusa per mollare il Partito Democratico con cui amministra la Regione Puglia e andare per conto proprio nel capoluogo. Sempre che le elezioni amministrative si terranno con quest’aria di scioglimento del Comune per mafia. La situazione è pesante dalle parti della sinistra. Per tre decenni hanno utilizzato la giustizia come strumento di lotta politica e adesso il Nazareno si trova costretto a invocare il garantismo di stampa e avversari per difendersi da accuse gravi e infamanti.

Nel campo largo volano gli stracci

Il patatrac di Bari arriva dopo la sconfitta in Abruzzo, il pasticcio in Basilicata e la separazione anche in Piemonte. Anche in quest’ultima regione il PD di Elly Schlein è alle prese con guai giudiziari e l’ex premier candiderà un proprio uomo. Tutto questo sta avvenendo dopo una settimana parlamentare senza alcun senso sul piano politico. Le opposizioni hanno presentato due mozioni di sfiducia contro i ministri Matteo Salvini e Daniela Santanchè. Contro il primo non se ne sono neppure capite le ragioni; un po’ come se un partito dicesse che un ministro gli stia antipatico. Boh! Contro la seconda la motivazione c’era: è indagata per falso in bilancio e truffa ai danni dell’Inps. Peccato che, però, il PD invochi per sé quel garantismo che continua a negare agli avversari.

A conferma che il campo largo avrebbe bisogno più che altro della neuro, cosa ti fanno i due leader durante la presentazione delle mozioni di sfiducia? Neppure si presentano in Aula, non ci mettono la faccia. A cosa sono serviti questi due atti parlamentari, se non a perdere tempo? Effettivamente, a nulla.

La maggioranza ha confermato i suoi numeri, le opposizioni neanche tutti. L’immagine che PD e 5 Stelle hanno offerto al Paese è stata tra la svogliatezza e l’impotenza. Non uno stimolante per le rispettive basi elettorali.

Disastro Puglia

Ma torniamo in Puglia. Qui è avvenuto un capolavoro, al contrario. In difesa del sindaco di Bari, Antonio Decaro, che a seguito delle inchieste giudiziarie a carico di terzi rischia di vedersi commissariato il Comune per mafia, scende in campo (largo) il governatore Michele Emiliano. Già magistrato anti-mafia, uomo certamente che sa quello che dice e che ha dimostrato di saper fare politica più di moltissimi altri a sinistra. E’ al termine del suo secondo mandato e da anni il suo profilo è considerato tra i papabili per la guida del PD a livello nazionale. E cosa ti dice sul palco dinnanzi a tutti? Che quando Decaro fu eletto sindaco e venne minacciato da ambienti criminali, egli lo portò dalla sorella di un boss per affidarglielo.

La sicumera con cui la sinistra ritiene di poter parlare di giustizia ha creato il caso dei casi. Un amministratore del PD, per giunta giudice in aspettativa, sceglie di mettere un proprio uomo nelle mani della mafia locale. Emiliano ha ammesso di avere usato parole che oggi non ripeterebbe; ma l’errore è stato, anzitutto, pensare di compiere una cosa simile. Il PD va nel panico. Conte trova la pistola fumante per mandare i dem a quel paese, cosa che fa senza perdere tempo. Volano gli stracci tra i due leader. L’ex premier accusa la segretaria di essere nelle mani dei capibastone del suo partito e questa gli ribatte che “così fa vincere le destre”.

Obiettivi di Conte e Schlein confliggenti

Un disastro comunicativo e politico che ha scarsi precedenti nella pur pessima storia della Seconda Repubblica.

Schlein non usa mezzi termini quando afferma in pubblico che non rincorrerà Conte, il quale punterebbe solo a prendere un voto in più alle elezioni europee. Certificazione del decesso del campo largo, che in fondo non è mai nato. Il problema non è soltanto tattico, bensì strategico. Il PD vuole servirsi dei 5 Stelle per ottenere quei voti necessari per sperare di competere a tutti i livelli con il centro-destra. E Conte vuole i voti del PD per sperare di tornare a Palazzo Chigi.

Gli obiettivi dei due sono divergenti: Schlein è a capo di un partito disperato per la perdita del potere dopo averlo detenuto per tanti anni. Tra l’altro, amministra sempre meno regioni e comuni. L’alleanza con Conte a tutto punta, fuorché a consentirgli di tornare a fare il premier. I due elettorati, poi, si odiano. I 5 Stelle ritengono che il PD sia un male come la destra, mentre il PD considera i “grillini” quella pancia dell’Italia contro il cui populismo ha sempre combattuto e che, però, numericamente le serve per fare massa. Ma sommare mele e pere nella vita come in politica serve a poco.

Alleanza PD-5 Stelle senza basi

Il caso pugliese ha messo a nudo l’impossibilità di un’alleanza fondata su un programma comune. I 5 Stelle sono schierati contro il sostegno all’Ucraina e contro Israele. Tra Joe Biden e Donald Trump Conte non sa chi scegliere. Anzi, sceglie senz’altro il secondo, ma non può dirlo apertamente per non fare cadere definitivamente le braccia al PD di Schlein. Egli ha margini di manovra ben maggiori della presunta alleata. Può spostarsi a destra e a sinistra all’occorrenza, cosa che non può fare la segretaria dura e pura di questa fase. Soprattutto, Conte non è ossessionato dal vincere questa o quella elezione amministrativa. Anzi, dati alcuni precedenti (vedi la Roma di Virginia Raggi), meglio non esporsi eccessivamente.

A Conte interessa meno che mai aiutare a vincere candidati del PD, che non gli porterebbero alcuna gloria personale o al suo Movimento.

Semmai, rogne come dimostra la Puglia. D’altra parte, al PD interessa vincere, ma con propri uomini. Aveva ceduto la Sardegna ad Alessandra Todde solo perché convinto che la gara fosse persa in partenza. Questo campo largo non è che abbia basi fragili, non le ha proprio. E i suoi confini vanno restringendosi. Se c’è Conte non ci sono Carlo Calenda e Matteo Renzi, cioè la gamba centrista che servirebbe alla sinistra per raccattare consensi tra i moderati. Così, risulta un’alleanza sbilanciata tutta a sinistra, includendo i rosso-verdi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.

Campo largo scorciatoia del PD

Il campo largo è la scorciatoia trovata a sinistra per non fare i conti con la propria distanza con la realtà. Un partito degno di questo termine s’interrogherebbe sulla frattura con la base elettorale storica, con la repulsione dei ceti popolari a votarlo. Invece, il PD subappalta il consenso “indesiderato” ad alleati improbabili, così da mantenere intatte classe dirigente e purezza istituzionalista grigia di questi decenni. Se c’è da sporcarsi le mani con una qualche battaglia popolare, meglio che se ne intesti la titolarità un movimento di plebaglia come i 5 Stelle. Il Nazareno non può abbassarsi al punto di dare ascolto alle istanze del Paese. Peccato che Conte non voglia all’apparenza diventare l’ennesimo utile idiota della sinistra italiana.

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