Il “conclave” di Gubbio è stato un flop. La due giorni del Partito Democratico in ritiro per chiarirsi le idee non ha fatto notizia e non ha esitato alcun risultato utile per i parlamentari presenti. Sarà ricordato come un evento al quale la segretaria Elly Schlein arrivò con un giorno di ritardo, preferendogli pubblicamente un “film al cinema”. Ella avrebbe voluto riscuotere visibilità con le battute sui casi Pozzolo, Sgarbi e Lollobrigida, ma la verità è che il video non è diventato affatto virale e la sensazione è che il PD sia senza una leader degna di nota.

Come se non bastasse, da settimane non riesce a sciogliere la riserva sulla sua candidatura alle elezioni europee.

Elezioni europee, trappola preferenze

Ci sono almeno tre ragioni per le quali Schlein resta titubante. La prima è che ha paura verosimilmente del risultato personale e del partito. Senza dubbio sarebbe ugualmente responsabile di un’eventuale sconfitta, ma l’attenuante di non avervi partecipato in prima persona risulterebbe forse parzialmente efficace per affievolire ipotetiche richieste interne di dimissioni.

La seconda è più perniciosa. Se Schlein si candida in tutte le cinque circoscrizioni, per effetto della legge sulla doppia preferenza di genere il secondo posto in lista spetterebbe a cinque uomini. Attenzione, parliamo di posizionamento e non di elezione. Per essere eletti, infatti, bisogna ottenere le preferenze. E lì contano i voti e non il sesso. Tuttavia, le cose non sono così semplici. La legge elettorale consente di votare due candidati, purché uno uomo e una donna, oppure anche tre, di cui almeno uno deve essere donna o uomo. In pratica, l’elettore non può votare per due uomini o due donne contemporaneamente, né per tre uomini o tre donne.

L’eventuale candidatura di Schlein costringerebbe l’elettore del PD a votare per un uomo, se volesse sostenere la segretaria. E nel caso in cui volesse ugualmente votare per un’altra donna, dovrebbe scrivere un terzo nome di un candidato maschio.

Possono sembrare bazzecole, ma mobilitare milioni di persone con questi tecnicismi è un azzardo. Non solo c’è il rischio che tante preferenze ai candidati vengano annullate, oltretutto a rimetterci sarebbero le donne. E questo non se lo può permettere un partito che dei temi gender e femministi va facendo una bandiera identitaria.

Mezzo partito tifa contro Schlein

L’ex premier Romano Prodi ha consigliato a Schlein di non candidarsi, perché sarebbe percepita una mossa poco seria dalla base, essendo scontato che la segretaria resterebbe alla Camera dei Deputati e non traslocherebbe all’Europarlamento. Stefano Bonaccini, lo sconfitto alle primarie di un anno fa e governatore dell’Emilia-Romagna, suggerisce di candidarsi in una sola circoscrizione. In sostanza, il partito non sta sostenendo l’ipotesi di candidatura e questo non è mai bello per chi un partito lo guida. Dall’altra parte, la premier Giorgia Meloni è invocata dai suoi stessi uomini per candidarsi alle europee. I sondaggi indicano che sarebbe capace di spostare quattro punti percentuali, mentre nel caso di Schlein la differenza sarebbe nell’ordine di appena mezzo punto.

Perché tutte queste titubanze nel PD? Il punto è che Schlein è considerata una leader debole e senza argomenti “vendibili”. A Gubbio è riuscita nell’impresa di dividere ancora di più un partito diviso già su tutto. Ha fatto appello per negare l’invio di armi a Israele, a favore della legge sul fine vita e sulla maternità surrogata. In una sola comparsa si è alienata definitivamente le simpatie di atlantisti e cattolici. Fanno riferimento a personalità come Graziano Delrio e Lorenzo Guerini, pezzi da novanta in termini di voti locali e di credibilità sul piano politico.

PD acefalo su economia ed esteri

Ma Schlein non è una sprovveduta.

Se parla di temi divisivi all’interno dello stesso PD, è perché sa che risultano identitari per la base e che l’alternativa sarebbe esporsi sui temi dell’economia e della politica estera su cui il Nazareno farebbe bene a tacere per qualche altro tempo ancora per far dimenticare i suoi anni di governo. E’ vero, la svolta lessicale c’è stata sul salario minimo, ma è meno dello stretto indispensabile per poter parlare di “nuova politica economica” schleiniana. La segretaria non ha nulla da dire su conti pubblici, industria, sostegno alla crescita, anche perché si ritrova a capo di un PD che l’ha viste e fatte tutte.

Infine, c’è da mettersi nei suoi panni. La sua principale avversaria corre appoggiata come non mai dai suoi uomini e dalla base, così come nessuno nel Movimento 5 Stelle osa anche solo mettere in discussione un’espressione di Giuseppe Conte. Al contrario, Schlein sa che gran parte del PD tifa per la sconfitta, così da rimpiazzarla con l’ennesimo nuovo segretario o affiancarle un “federatore” del centro-sinistra come Paolo Gentiloni. Manca lo spirito di voler fare bene.

Rivoluzione mancata per Schlein

D’altra parte, la sua segreteria ad oggi è stata una rivoluzione mancata. Avrebbe dovuto “rottamare” stavolta davvero la vecchia classe dirigente, mentre si ritrova a mediare tra capibastone anche sulla scelta se candidarsi o meno alle elezioni europee. Se arrivasse la sconfitta, sarebbe più amara che mai. Non saprebbe se addebitarla al nuovo corso o al suo mancato inizio. Per dirla con le parole di Vincenzo De Luca, il PD di oggi è a metà tra “Lotta Continua e Zecchino d’Oro”.

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