Non tutte le ciambelle riescono col buco, così come non tutte le campagne pubblicitarie raggiungono l’obiettivo. Ne sa qualcosa la società tedesca di produzione della Nivea, la crema idratante al centro delle proteste da parte dei clienti nel Medio Oriente. Cos’è accaduto? Sul finire della scorsa settimana, la società ha pubblicato un post sul suo profilo Facebook per i followers mediorientali. In esso compare un messaggio promozionale, che ritrae una donna di schiena e la scritta “White Is Purity” (“Bianco è Purezza”).

Apriti cielo! Il post è stato commentato da svariati clienti arrabbiati con la società, accusandola di razzismo.

“Ma dai, Nivea. E’ così razzista che non so da dove iniziare, senza parole”, scrive tale Scott Bellows. E di commenti simili se ne trovano a decine. Non tutti hanno trovato il post offensivo. C’è chi lo ha condiviso, ma per una ragione che non ha reso affatto contenta la società, ovvero sostenendo di apprezzarne il messaggio di “supremazia della razza bianca” sulle altre. (Leggi anche: Pubblicità YouTube, boicottaggio multinazionali reca danni a Google)

Già nel 2011 piovute accuse di razzismo su Nivea

Fatto sta che il post è rimasto pubblicato per tutto il fine-settimana ed è stato rimosso solo lunedì dalla controllante Beiersdorf, che si è anche scusata su Facebook, sostenendo di promuovere i valori della diversità e che le discriminazioni sarebbero contrarie alla sua policy. Sarà, ma il danno era stato compiuto. Se l’intento era di fare rumore, Nivea ci è riuscita in pieno, ma non nella direzione desiderata.

Il guaio per la società tedesca è che la gaffe di questi giorni non è la prima di questo tipo. Già nel 2011 fu al centro di altri attacchi, dopo avere promosso una pubblicità cartacea, che ritraeva un uomo dall’aspetto afro e riportando la scritta “Dannazione, guardati. Ri-civilizzati!”. (Leggi anche: Fake news e siti odio mettono a dura prova la pubblicità online)

Altre campagne mal riuscite

Per fortuna, in tema di campagne pubblicitarie accusate di razzismo si trova in buona compagnia.

Lo scorso anno, Qiaobi, società cinese di detergenti, ha utilizzato uno spot ben meno ambiguo, in cui compariva una donna che metteva un uomo di colore dentro la lavatrice e che dopo il lavaggio usciva bianco.

Pochi mesi fa ad essere stata travolta dalle critiche è stata in Italia niente di meno che la campagna del Ministero della Salute in favore della fertilità. Un’immagine, in particolare, fu accusata di razzismo, quella in cui si metteva in guardia la donna dal frequentare uomini con cattive abitudini, con questi ultimi rappresentati da giovani di colore e dai capelli rasta, con uno spinello in mano. (Leggi anche: Fertility Day, quanto incide la crisi sui pochi figli?)

Di tenore opposto le critiche alla Pepsi, che in questi giorni ha iniziato a mandare in onda uno spot di 2 minuti e 40 secondi dal sapore ruffiano e vagamente patetico, oltre che banale. In esso, la modella Kendall Jenner viene ripresa ad offrire una lattina a un poliziotto, nel corso di una protesta, in cui compaiono persone di varie etnie. La pubblicità è stata considerata uno sfruttamento da parte della società di tematiche anti-razziste per vendere cola.