Tanta rabbia, molte lacrime e un mare di delusione. Questa è stata la reazione degli italiani, non solo quelli più genuinamente tifosi, quando la Nazionale di Calcio non è riuscita ad accedere ai Mondiali di Russia 2018, perdendo il playoff contro la non irresistibile Svezia. Al San Siro, quella sera del 13 novembre scorso, sembra essere andato in scena il funerale del calcio italiano, che mancherà alla massima manifestazione globale per la prima volta dopo 60 anni. Si è detto e scritto che sarebbe cambiato tutto, che avremmo assistito a un terremoto sportivo, al rotolamento di teste tipico delle rivoluzioni (qui, per fortuna non sanguinarie).

Invece, nulla di tutto questo sembra che stia accadendo. Sì, dopo giorni di pressioni mediatiche si è dimesso dalla carica Giampiero Ventura, ma poiché l’ormai ex ct tiene famiglia, ha portato a casa 800.000 euro di stipendio che gli verranno ugualmente corrisposti, nonostante non completerà la stagione e pur in presenza di un disastro inimmaginabile. Ma “pacta sunt servanda”. Destino simile per il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, che si è dimesso nei giorni scorsi, dopo avere resistito a tutte le critiche, quando ha fiutato di non godere più della fiducia di gran parte dei suoi vecchi e numerosi sostenitori tra i club.

Ma la rivoluzione non c’è stata e forse non ci sarà mai. Ad esempio, sapete che Tavecchio, pur essendosi dimesso da presidente della FIGC, è commissario pro tempore della Lega Calcio? Eh, già! Il suo successore dovrebbe arrivare a giorni, ma chi si attende volti nuovi, capaci di ridare linfa e grinta a un campionato ormai asfittico e privo di idee, resterà molto probabilmente deluso. Ieri, i 20 club della Serie A si sono incontrati per discutere dell’asta per l’assegnazione dei diritti televisivi per il mercato domestico e relativi al triennio 2018-2021. Niente di fatto, se ne riparlerà poco prima di Natale e dopo il 19 dicembre, quando si terrà l’udienza della causa tentata da Mediaset contro Vivendi.

Perché in Italia tutto s’intreccia, dal calcio alla politica, passando per interessi industriali apparentemente estranei. Dall’avvio della querelle giudiziaria tra Cologno Monzese e Parigi, infatti, si potrebbe capire qualcosa di più sulla capacità finanziaria del Biscione di concorrere per aggiudicarsi almeno parte della torta per la trasmissione delle partite, che complessivamente dovrebbe valere 1 miliardo di euro per stagione. Ad ottobre, i diritti TV all’estero sono stati ceduti per la cifra di 371 milioni, raddoppiando i 190 milioni del triennio in corso. (Leggi anche: Diritti TV all’estero, incassi raddoppiati)

Vegas candidato per la Lega, calcio impantanato sulle poltrone

Ma al centro dei colloqui c’era anche il rinnovo delle cariche della Lega. Essa gestisce i campionati professionisti, la Coppa Italia, la Supercoppa e i campionati di primavera. E da qualche giorno è stato avanzato da Claudio Lotito, patron della Lazio e rappresentante di spicco di quei club di secondo livello influenti in forza del loro numero, il nome di Giuseppe Vegas per la presidenza. Chi è Vegas? L’attuale presidente della Consob, il cui mandato scade il 15 dicembre e che pare che non verrà nominato per un secondo incarico dal governo Gentiloni. Raggiunto dai giornalisti, l’ex vice-ministro del governo Berlusconi e già esponente di Forza Italia ha dichiarato di essere interessato all’eventuale sua nomina a capo della Lega Calcio.

Nulla da eccepire sulle qualità di Vegas, uomo perbene e rispettabile. Cosa c’entri con il calcio resta incomprensibile. Sarebbe una figura tecnicamente qualificata, ma forse poco azzeccata per sperare in un rilancio del nostro campionato anche in chiave di rinascita degli azzurri. Come ad, invece, si punterebbe alla figura di Luigi De Siervo, attuale amministratore delegato di Infront, la società di consulenza che si occupa della gestione dei diritti TV.

Servirà una maggioranza qualificata per eleggere il successore di Tavecchio alla Lega e non è detto che sarà raggiunta. Se così non fosse, sarebbero commissariate sia la stessa Lega, sia la FIGC e a quel punto il destino del calcio italiano passerebbe nelle mani di Giovanni Malagò, a capo del CONI. E lo scontro con i club si preannuncerebbe aspro. L’uomo è inviso ai dirigenti di calcio, anche perché si è fatto portavoce di una svolta radicale. Ed è pur vero, però, che dei successi del CONI non si ha nemmeno l’ombra, visto che ad andare male sono anche gli altri sport nelle competizioni internazionali. La sfida appare sempre più tra presunti rinnovatori e certi restauratori, accomunati tutti dai scarsi risultati ottenuti sul campo e dalle competenze sportive tutt’altro che solide. (Leggi anche: Calcio italiano in crisi da anni, dimissioni Tavecchio e Ventura bastano?)

FIGC, Lega e Coni: il caos senza idee

Del resto, nemmeno per la FIGC è pronto un nome per il dopo Tavecchio. A dovere eleggere il successore sarebbero qui i rappresentanti delle leghe dei campionati professionisti, di quelli dilettanti, nonché delle associazioni di calciatori, arbitri e allenatori, con il peso maggiore (34%) assegnato con voti ponderati ai dilettanti. E anche in questo caso, le divisioni tra gli elettori non sono certo tra proposte alternative per migliorare lo stato decadente del calcio italiano, bensì tra schieramenti di interessi contrapposti, magari sulla spartizione proprio della torta dei diritti TV, con le grandi squadre a tirare per il metodo dell’asta e Torino e Napoli, presieduti rispettivamente da Urbano Cairo e Aurelio De Laurentiis, a propugnare la creazione di una TV di Lega.

Nulla di illegittimo, si badi bene. E’ giusto e comprensibile che ogni club pensi ad eleggere un uomo che rappresenti al meglio i propri interessi. Il problema sta nell’incapacità del sistema calcio nel suo complesso di uscire fuori da logiche spartitorie incapaci di aumentare le dimensioni di quella torta, cosa che renderebbe più compatibili gli obiettivi dei vari schieramenti in campo.

La Nazionale non serve solamente come momento di orgoglio per l’Italia per farci riesumare ogni 2 anni bandiere e berretti tricolori. Essa è la vetrina del calcio dello Stivale e se metti in vetrina un abito malconcio, stai certo che in pochi vorranno mettere piede nel tuo negozio. E, invece, gli abiti esposti fanno sempre più pena e i proprietari della boutique sono più preoccupati di chi debba fare il commesso e su come dividersi i ricavati delle vendite, ignorando che i clienti diminuiscono, che l’insegna cade a pezzi e che a destra e sinistra del nostro numero civico vi stanno decine di altri negozi concorrenti con abiti griffati all’ultimo grido. (Leggi anche: Scommesse ripescaggio Italia ai Mondiali, Sisal apre al sogno proibito)