Su tutto possiamo dibattere, tranne sul fatto che quest’anno sia stato disastroso per i mercati finanziari. Sono andate giù contemporaneamente (e di brutto) sia le azioni che le obbligazioni. Le seconde non avevano mai registrato un primo semestre così negativo. Pur in recupero da settimane, l’indice S&P 500 a Wall Street resta in calo di oltre il 16% quest’anno. E se vi dicessimo che da qualche parte nel mondo c’è stato e continua ad esserci il boom in borsa? Vi stupireste ancora di più nell’apprendere che parliamo della Turchia.

Ebbene, sì: l’indice BIST 100 di Istanbul ha guadagnato più del 150% dall’inizio dell’anno. E se guardate il grafico, vi accorgerete che il trend è costantemente positivo. Una corsa all’acquisto di azioni apparentemente incomprensibile. È vero che, a differenza di molte grandi economie, il PIL turco quest’anno crescerà in misura robusta. Per Moody’s del 5,3%. Non male per un’economia che nell’ultimo ventennio è cresciuta al ritmo medio del 6% all’anno.

Tuttavia, il boom in borsa in Turchia non sta avvenendo in conseguenza di ciò. Anzi, esso ignora palesemente i fondamentali macro del paese. In effetti, le agenzie di rating hanno declassato il debito pubblico a “junk” o “spazzatura”. L’inflazione nel mese di ottobre è salita all’85,51%, il dato più alto dal 1998. E il deficit commerciale è esploso a 91,10 miliardi di dollari nei primi dieci mesi dell’anno, segnando un +168,5% rispetto allo stesso periodo del 2021. Per non parlare della lira turca, che perde quest’anno un altro 26,5% dopo il -44% dell’anno scorso. Anche per difendere il cambio, la banca centrale ha praticamente più che azzerato le riserve valutarie. Esse risultano negative, al netto degli swaps e dei debiti.

Boom in borsa in Turchia figlio del taglio dei tassi

Tutto “merito” della politica monetaria imposta dal presidente Erdogan alla banca centrale.

Il governatore Sahap Kavcioglu ha tagliato i tassi d’interesse dal 19% del settembre 2021 al 10,5% mentre l’inflazione esplodeva e la lira crollava. Il presidente non vuole sentire ragioni: l’inflazione si combatte abbassando i tassi e non alzandoli. Sta di fatto che le famiglie turche sono piombate agli anni bui dell’iperinflazione. I parziali controlli sui capitali rendono difficile il tentativo di mettere in salvo i propri risparmi all’estero. Da qui il boom in borsa in Turchia: corsa alle azioni per proteggere il potere di acquisto.

Accade ovunque vi sia profonda instabilità dei prezzi. Le azioni si trasformano in un asset che tutti comprano per vedere almeno tenuto stabile il valore del capitale investito. E così, alla fine di ottobre, la borsa turca valeva 240 miliardi di dollari. Al termine di questo martedì, facendo qualche calcolo, sarebbe salita ancora a quasi 290 miliardi. Ma dietro al boom in borsa c’è disperazione, non euforia. È accaduto in questi anni anche nel Venezuela di Nicolas Maduro, distrutto dall’iperinflazione e con un PIL in recessione costante dal 2013 al 2020.

È probabile che questa corsa alle azioni duri almeno fino alla primavera prossima, quando si terranno le elezioni. Dopo una probabile riconferma di Erdogan, molti sperano che la banca centrale muti indirizzo e inizi a contrastare l’alta inflazione. Un discorso tutt’altro che scontato. L’esperimento del presidente consiste nel trasformare la Turchia in un’economia esportatrice alle porte dell’Europa. E per farlo mira ormai apertamente a zavorrare la lira per accrescere la competitività. Il boom in borsa può durare. Nessuna retromarcia in vista ad Ankara.

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