Mercato forex in subbuglio a causa del super dollaro. Se la Banca del Giappone è stata costretta ad intervenire a sostegno dello yen per la prima volta in 24 anni, qualcosa vorrà pur dire. Ma questo scenario globale, legato al rialzo dei tassi americani, non ha proprio nulla a che vedere con la drammatica crisi della lira turca. Perché quanto sta accadendo ad Ankara, oramai da anni, è un’afflizione auto-inflitta dalle stesse istituzioni. Ieri, il cambio contro il dollaro è scivolato ai nuovi minimi storici di 18,40 dopo che la banca centrale turca aveva annunciato il secondo taglio dei tassi consecutivo al 12%.

Peccato che in agosto l’inflazione nel paese fosse salita sopra l’80%. I tassi reali sono sprofondati così a -68%. I più bassi al mondo.

La strategia di Erdogan sui tassi

Lo pretende il presidente Recep Tayyip Erdogan, autoproclamatosi da tempo “nemico dei tassi d’interesse”. L’uomo, al potere da venti anni, ha una teoria alquanto curiosa, oltre che interessata. Sostiene che l’inflazione la si combatta tagliando i tassi, anziché alzandoli. Su per giù come se un medico suggerisse al paziente con la febbre di uscire in giardino a maniche corte con zero gradi di temperatura.

Dietro alla teoria strampalata di Erdogan si cela la volontà di sostenere l’economia turca a colpi di credito delle banche alle imprese e alle famiglie. Non solo. Egli confida di trasformare il paese in una piccola Cina alle porte dell’Europa puntando sulla svalutazione della lira turca. L’unica cosa che gli è riuscita sinora è stata di ottenere proprio la svalutazione del cambio: -25% quest’anno, -80% in 5 anni. Viceversa, la bilancia commerciale viaggia in profondo rosso e le partite correnti puntano al -10% del PIL quest’anno, se non peggio.

La lira turca diventa carta straccia e, giustamente, i primi a volersene disfare sono i cittadini.

Anche perché da qui a un anno il sistema economico nel suo complesso dovrà pagare 182 miliardi di dollari di debito estero. Ma in cassa la banca centrale dispone di meno di 75 miliardi. E le riserve valutarie nette rasentano lo zero. Capiamo benissimo perché, pur con un debito pubblico al 42% del PIL nel 2021, le agenzie di rating intonano la marcia funebre: rating B+ per S&P, B per Fitch e B3 per Moody’s. I titoli di stato anatolici sono “spazzatura”.

In fuga dalla lira turca

A pagare il prezzo (letteralmente) di questo sconquasso sono i turchi, che subiscono i rincari stratosferici di questi mesi. I generi alimentari costano praticamente il doppio rispetto allo scorso anno (+90,3% ad agosto) e, per quanto il governo alzi il salario minimo legale, i conti non tornano lo stesso. La speranza è che Erdogan permetta alla banca centrale di adottare una politica monetaria razionale dopo le elezioni del 2023. Ma difficilmente il presidente accetterà di compiere un passo indietro, sebbene per la lira turca e il sistema finanziario domestico si spalanchino ogni giorno di più le porte dell’inferno.

In pratica, mentre l’intero mondo corre ad alzare i tassi per fermare l’inflazione al 7-8-10%, la Turchia fa l’esatto contrario con un’inflazione all’80%. Di questo passo, qualche analista azzarda che la lira turca scambierà a 24 contro il dollaro entro il marzo prossimo. Sarebbe un ulteriore collasso del 25%, perfettamente in linea con il trend di questi anni. E per disperazione non sono neppure più pochi i turchi che comprano Bitcoin per sfuggire alla maxi-svalutazione incessante.

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