Questa settimana, le quotazioni di Bitcoin sono risalite sopra 50.000 dollari per la prima volta da quasi un mese. Dalla fine di settembre, cioè nel giro di 5 giorni, hanno messo a segno un rialzo del 20%. Un andamento che contrasta con quello delle principali borse mondiali, le quali sostano un po’ tutte sotto i livelli di qualche settimana addietro. Tra gli investitori serpeggia preoccupazione per l’impatto che l’inflazione rischia di avere sull’economia globale e, soprattutto, sulle sue origini, siano esse monetarie, legate ai “colli di bottiglia” di molte produzioni o riconducibili a entrambe.

Il primo aspetto da valutare è se sia proprio l’inflazione a sostenere gli acquisti di Bitcoin. Se così fosse, sarebbe indice di sfiducia verso i mercati finanziari tradizionali. Un’immagine, a dire il vero, che contrasterebbe con le quotazioni stagnanti e persino calanti dell’oro. E che la “criptovaluta” possa avere rimpiazzato il metallo come asset di protezione dall’inflazione è qualcosa che non vogliamo neppure prendere in considerazione. L’oro ha una storia di 5.000 anni in tal senso, Bitcoin di 5 anni, se guardiamo al periodo di sua diffusione nel mondo.

Bitcoin e la svolta energetica

Invece, convince di più sapere che molti investitori istituzionali si starebbero buttando nell’affare in questi primi giorni di ottobre, tra cui clamorosamente il fondo del magnate ungherese George Soros. In primis, perché statisticamente sarebbe il mese più promettente per Bitcoin. E lo è il trimestre stesso. Secondariamente, starebbero speculando sull’atteso via libera da parte della SEC americana degli ETF basati su “criprovalute” come Bitcoin ed Ethereum. Un ETF è un fondo a gestione passiva, cioè non punta a fare meglio del mercato, ma semplicemente a replicare l’andamento di un indice sottostante, nel caso specifico le quotazioni di questi asset.

Infine, c’è la questione dell’inquinamento, tallone d’Achille per Bitcoin negli ultimi mesi.

El Salvador ha iniziato a consentire il “mining” attraverso l’uso di energia geotermica. Sembra che la corsa alle energie rinnovabili possa essere sostenuta proprio da questo business, anche per ragioni economiche. Le energie pulite costano di meno in aree come Scandinavia e Centroamerica, per cui rendono più profittevole estrarre “criptovaluta”. Stando così le cose, Bitcoin riuscirebbe a scrollarsi di dosso l’etichetta di asset inquinante, che ha dissuaso molti istituzionali dall’entrare su questo mercato. La svolta starebbe facendo affluire parte dei capitali rimasti alla finestra.

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