Francoforte, abbiamo un problema! Gli ultimi dati sull’inflazione nell’Eurozona sono andati peggio del previsto. Per settembre, l’indice Eurostat ci consegna una crescita tendenziale dei prezzi del 3,4%. Siamo ben oltre il target del 2% fissato dalla BCE. E se in Italia è schizzato al 2,6%, a preoccupare è la Germania con il +4,1%. I tedeschi non registravano un balzo dei prezzi al consumo così marcato dal 1993, anno in cui l’inflazione media si attestò al 4,5%.

Erano altri tempi, però. E non solo perché in tutto il mondo avanzato i tassi d’inflazione risultavano più alti di oggi e la Germania era alle prese con i costi ingenti della riunificazione.

C’era anche il fatto che la Bundesbank reagiva prontamente a ogni accelerazione dell’inflazione, tant’è che proprio nel ’93 fissava il tasso di sconto al 9,50% per i primi mesi dell’anno, tagliandolo fino al 6,75% verso la fine dello stesso. In pratica, il tasso d’interesse mediamente praticato risultava di almeno 300 punti base o 3% sopra l’inflazione.

Oggi, invece, la BCE tiene il costo del denaro a zero, cioè al -3,4% rispetto all’ultimo dato dell’inflazione media nell’Eurozona. La Germania si ritrova, quindi, con tassi reali negativi per oltre il 4%. Se fosse ancora la Bundesbank a gestire la politica monetaria tedesca, con ogni probabilità avrebbe tassi reali ben più alti. La stabilità dei prezzi a Berlino è perseguita da tutti i partiti politici e non è mai stata messa in discussione da nessuno.

Bundesbank rialza la testa contro l’inflazione

Peraltro, un costo del denaro così infimo sta già provocando diversi problemi nella prima economia europea. Il più importante riguarda il caro-affitti. Quasi metà dei tedeschi vive in una casa non di proprietà e poiché i valori immobiliari stanno esplodendo un po’ su tutto il territorio nazionale, i canoni di locazione sono schizzati a livelli insostenibili per buona parte delle famiglie.

E cosa sta sostenendo questa bolla immobiliare? Proprio l’enorme liquidità iniettata sui mercati dalla BCE a colpi di tassi negativi.

La Buba è già da tempo iper-critica verso l’operato di Christine Lagarde. Teme che la prima donna a capo dell’istituto stia disancorando le aspettative d’inflazione e prima o poi perda il controllo della stabilità dei prezzi. Un film già visto con Mario Draghi, se non fosse che a Francoforte i tedeschi rimpiangono amaramente l’italiano, il quale perlomeno era tecnicamente preparatissimo e godeva sui mercati della massima reputazione possibile per un banchiere centrale. In effetti, durante il suo ottennato l’inflazione nell’area fu quasi sempre sotto il target. E questo alla Buba in fondo piacque.

La Germania non avrà presto un nuovo governo. Le trattative tra i partiti dopo le elezioni federali non sono neppure formalmente state avviate. Sbaglia, però, chi pensa che questo lascerà campo ancora più aperto alla BCE. Al contrario, la politica tedesca sarà temporaneamente supplita in toto dalla Buba, il cui governatore Jens Weidmann scalpita per ottenere l’avvio del “tapering”. Che gli acquisti di bond con il PEPP saranno ridotti ulteriormente nei prossimi mesi è dato per scontato, così come l’annuncio entro l’anno della fine del programma a marzo. Tuttavia, la battaglia si sposterà sul “quantitative easing”. Ad oggi, l’ipotesi più in voga sarebbe di potenziarlo per sopperire ai minori acquisti con il PEPP, ma se l’inflazione sta galoppando sopra il target, difficile che Francoforte possa andare troppo oltre. I “falchi” tedeschi avranno ottime argomentazioni per opporsi al mantenimento sostanzialmente inalterato degli stimoli.

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