Un fine settimana con i fiocchi per Bitcoin, che lunedì scorso si attestava ancora sotto i 50.000 dollari e che nel corso della seduta di sabato è arrivato ad avvicinarsi a quota 62.000. Mentre scriviamo, la quotazione si è ridimensionata in area 58.500 sulla notizia che l’India starebbe per vietare il trading di assets digitali. Ma resta il fatto che dall’inizio dell’anno abbia segnato un rialzo spettacolare di oltre il 100%. E così, il valore complessivo di questo mercato è salito sopra i 1.000 miliardi di dollari.

Dietro al boom degli ultimi giorni ci sono novità provenienti anche stavolta dal mondo degli investitori istituzionali. Per prima cosa, venerdì scorso Michael Saylor di MicroStrategy ha annunciato l’acquisto di altri Bitcoin per un controvalore di 15 milioni. La società di software, da mesi ormai attiva su questo segmento di business, possiede ad oggi 91.326 unità della “criptovaluta”, pari a un valore di mercato di circa 5,35 miliardi. Martedì scorso, JP Morgan aveva lanciato un prodotto “crypto-exposure”, con cui consente sostanzialmente ai clienti di puntare sui titoli del debito emessi dalle società legate ai Bitcoin, tra cui dominano MicroStrategy e Square.

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Corsa ai Bitcoin dagli investitori istituzionali

Quest’ultimo è un segnale abbastanza interessante circa il fatto che la finanza tradizionale, quella tutto di un pezzo e fino a qualche mese fa restia a prendere anche solo in considerazione il mondo delle valute virtuali, adesso stia spronando il mercato a puntarvi, anche solo al fine di approfittare del boom in corso e che non può essere ignorato come se non esistesse. Nel 2020, Bitcoin ha quadruplicato il suo valore. Su base annua, le quotazioni si sono moltiplicate per quasi 12 volte.

La corsa all’acquisto si giustifica anche con il timore diffuso tra gli investitori riguardo al possibile “surriscaldamento” dei tassi d’inflazione nel mondo, a seguito dei maxi-stimoli fiscali e monetari rispettivamente varati da governi e banche centrali.

Da ultimo, l’amministrazione Biden ha messo a punto un piano da 1.900 miliardi di dollari in aiuti a famiglie e imprese americane, approvato dal Congresso e che dai prossimi giorni si tradurrà in liquidità extra per l’economia a stelle e strisce.

Tutto corretto, se non fosse che la corsa ai Bitcoin lascia trasparire una grossa ipocrisia di parte del mercato istituzionale. In questi ultimissimi anni, la parola d’ordine è diventata “green”. Fondi d’investimento, banche, assicurazioni, grosse corporation sono tutti intenti a mostrarsi quanto più eco-compatibili possibili. Da qui, l’emissione di green bond con cui finanziare piani di abbattimento dell’inquinamento o il disinvestimento crescente dai comparti dell’economia poco “clean”. Eppure, se c’è un asset “sporco” è il Bitcoin.

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L’ipocrisia della finanza “verde”

Chi si approccia da poco a questo mondo non sa forse che per “estrarre” un blocco di valuta digitale servono calcoli molto, molto complessi e lunghi. Si stima che ogni secondo ne vengano effettuati 160 miliardi di miliardi, una cifra mostruosa che richiede consumi altrettanto enormi di energia. Dalle varie analisi emergerebbe che il “mining” dei Bitcoin equivarrebbe ai consumi energetici annuali di stati come Olanda o Pakistan. Dunque, Bitcoin non è ad impatto zero per l’ambiente. Ma questa è solo la parte più rassicurante della storia. Per oltre la metà, il “mining” avviene in Cina, laddove la produzione di energia è realizzata in gran parte ricorrendo alle centrali a carbone.

In altre parole, mentre la finanza ostenta le sue credenziali “green” con una faccia, con l’altra si sta buttando in un affare ad alto tasso di inquinamento. Paradosso dei paradossi è Tesla. La società di auto elettriche di Elon Musk risulta tra le più capitalizzate al mondo in borsa e le sue azioni sono diventate ormai oggetto di culto, come se non rispecchiassero semplicemente un business, pur innovativo e dalle elevate potenzialità.

Il suo essere un’alternativa alle auto inquinanti la rende abbastanza popolare tra quella fetta di mercato più sensibile verso le questioni ambientali.

Ebbene, nelle scorse settimane essa ha investito 1,5 miliardi in Bitcoin, che come dicevamo sopra è un business altamente inquinante. Non solo. Grazie al boom delle quotazioni, Tesla virtualmente avrebbe già messo a segno plusvalenze, che in poco più di un mese supererebbero gli utili realizzati in 13 anni di storia tramite il “core business”. Per essere più chiari, Musk dal 2008 ad oggi non è riuscito a guadagnare quanto in 5 settimane con i Bitcoin. Il che la dice lunga sulla mania in corso e sulle contraddizioni di una finanza a caccia più di “like” che non di consenso solido e ragionato.

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