La Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo non ha emanato alcuna sentenza sul ricorso presentato da Silvio Berlusconi ormai 5 anni fa contro la sua espulsione dal Senato nel 2013, frutto dell’applicazione “retroattiva” della legge Severino per via della condanna definitiva sul caso Mediatrade. I giudici hanno preso atto del ritiro del ricorso da parte dei legali dell’ex premier nel luglio scorso, essenzialmente dovuto al fatto che a maggio il loro assistito aveva già ottenuto la possibilità di candidarsi a cariche elettive con effetto immediato e con un anno di anticipo rispetto ai tempi.

Quasi un atto dovuto, insomma, ma l’amarezza per il Cavaliere resta, perché non ha potuto ottenere quel riconoscimento da subito cercato sulla illegittimità del voto di Palazzo Madama, con cui fu dichiarato decaduto nell’autunno 2013. Berlusconi ha sin da allora cercato di risalire la china, anche perché due anni prima aveva dovuto subire un’altra grande umiliazione pubblica, ossia le dimissioni da premier per l’esplosione della potente crisi dello spread. Tra l’autunno del 2011 e quello del 2013, il lungo regno politico berlusconiano veniva perduto e contrariamente a quanto pensasse allora il vecchio regnante, definitivamente.

Il triste declino di Berlusconi, usato da Tajani per fare carriera 

Per giungere al traguardo della riabilitazione politica ed elettorale, il Cavaliere ha puntato tutte le sue carte sul dialogo con gli avversari sino ad allora così agguerriti contro il suo ventennio, sostenendo prima il governo Monti per siglare una tregua con il PD e risultare responsabile agli occhi degli italiani; successivamente, è la volta del governo Letta, retto da Forza Italia fino alla decadenza del leader. Segue la flebile opposizione al governo Renzi, il cui modus operandi non si mostra granché diverso da quello proprio del berlusconismo. A metà tra calcolo e compiacimento, l’ex premier e ancora leader del centro-destra stringe con il fiorentino neo-segretario del PD il famoso “Patto del Nazareno”, che sancisce la morte politica dei due contraenti negli anni successivi.

I termini dell’intesa restano ignoti e fumosi a tutt’oggi e quel che è peggio, l’opinione pubblica percepisce i due come protagonisti di un inciucio, punendoli praticamente a ogni tornata elettorale successiva al 2014.

Berlusconi ha aggravato la propria condizione con la virata politica sull’Europa, schierandosi in favore di quegli stessi “burocrati di Bruxelles” contro i quali aveva fatto campagna per due lunghi decenni. Anche in questi mesi di tensioni con Roma, il suo tifo per la Commissione appare svilente della sua storia, quasi un’imitazione grottesca della linea piddina negli anni dei suoi governi. Egli dovrebbe essere il primo a sapere che gli elettori italiani non hanno mai gradito politici percepiti come a tifare contro l’Italia. E se avesse conservato parte del fiuto immenso alla base delle sue fortune imprenditoriali prima ed elettorali dopo, avrebbe compreso che agli italiani i burocrati europei non sono mai piaciuti e schierarsi al loro fianco, anche quando non abbiano del tutto torto, equivalga a un suicidio politico.

Leadership persa con la decadenza

La leadership del centro-destra è andata perduta ben prima del 4 marzo e risale proprio alla reazione sorprendente che Berlusconi ebbe nel 2013 alla sua decadenza. Anziché chiamare il suo popolo a raccolta, impedito anche fisicamente dai domiciliari e “sub judice” anche quando teneva comizi sempre più sparuti, ha cercato l’accordo con i “nemici” storici, finendo per essere risucchiato dalle loro sconfitte. Intendiamoci, il dato anagrafico forse avrebbe reso ugualmente difficoltoso per il Cavaliere mantenere salda la guida della coalizione, ma se avesse tenuto il punto e il piglio di sempre su questioni come Europa ed economia, sarebbe riuscito con ogni probabilità a conservare la centralità di Forza Italia, magari attraverso una guida autonoma e al contempo rispettosa della sua visione.

Invece, ha precipitato il partito verso percentuali sempre più prossime alla soglia minima di sbarramento e nella percezione comune è diventato parte del sistema contro cui gli italiani hanno inteso votare alle ultime politiche.

Berlusconi soffre la mediaticità di Matteo Salvini, che non ha mai considerato un suo pari. E per la prima volta da quando è sceso in campo nell’ormai lontano 1993, subisce gli eventi e non vi incide più, non è determinante ai fini degli equilibri in Parlamento e nel Paese e non riesce a catalizzare l’attenzione pubblica su un qualsiasi argomento, avendo ormai perso il contatto con la sua gente e incapace per sua stessa ammissione di essere ancora il re della comunicazione nell’era di internet. La nomina di Antonio Tajani alla guida di Forza Italia non solo è tardiva, ma persino suicida. Essa segna forse la volontà dell’ex premier di fare di Forza Italia un rimasuglio centrista ed europeista per distinguersi dagli alleati e trovare un qualche sbocco nel mercato elettorale alle prossime europee.

I sondaggi ad oggi dicono che gli italiani non starebbero apprezzando, anche perché le critiche sul deficit del governo Conte appaiono poco credibili, se arrivano dal partito sotto la cui gestione l’Italia ha visto esplodere lo spread. E raccontare in TV e in giro per l’Italia che si dovrebbero tagliare le tasse, quando nei 10 anni al governo Forza Italia non ha ridotto un solo euro ai contribuenti, ha quasi del fastidioso. Non saranno né Berlusconi e né il PD con i loro uomini il futuro dell’Italia, quale che sarà il giudizio degli italiani per l’operato della maggioranza giallo-verde. Il Cavaliere lo ha capito e si è di fatto ritirato dalle scene, limitandosi a qualche battuta periodica, più su pressione dei suoi dirigenti in allarme che per il desiderio di continuare a farsi sentire.

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