Nel suo “Global Financial Stability Report”, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sostiene che la stabilità finanziaria mondiale risulterebbe migliorata, ma invita anche a non compiacersi di tale situazione, perché dietro l’angolo vi sarebbero diversi grossi problemi, tali da potere scatenare una prossima crisi, la quale stavolta arriverebbe dall’esterno del settore bancario. L’istituto di Washington si mostra preoccupato dell’aumento del debito non finanziario (governi, famiglie e imprese), che per le economie del G20 è passato dal 210% del pil del 2006 al 235%, ovvero a 135.000 miliardi di dollari.

In particolare, quello delle famiglie risulterebbe quasi raddoppiato a quasi il 50% del pil, quello delle imprese è passato dal 50% al 65% e quello pubblico da una media inferiore al 50% a una superiore al 70%.

A preoccupare l’FMI è anche la bassa volatilità sui mercati finanziari, che stando all’indice CBOE è scesa ieri ai minimi record, segnalando una forte esposizione ai rischi degli investimenti per i casi di crisi, aggravandone potenzialmente le dimensioni. La preoccupazione riguarda ai livelli a cui sarebbe giunta la caccia al rendimento da parte degli investitori. A tale proposito, basti considerare un dato: attualmente, la quota di titoli a reddito fisso con rendimenti superiori al 4% è scesa a meno del 5% del totale, ovvero ad appena 1.800 miliardi dollari, quando un decennio fa si attestava all’80%, pari a circa 15.800 miliardi. (Leggi anche: Volatilità mercati ai minimi storici: ma se fosse paralisi e non ottimismo?)

In altre parole, l’FMI ci avverte che i rendimenti obbligazionari sarebbero fin troppo bassi oggi, rispecchiando non solo diverse condizioni finanziarie sui mercati e una politica monetaria di gran lunga più accomodante dell’era pre-crisi, bensì uno spostamento degli investimenti verso bond sempre più rischiosi, tali da deprimerne i rendimenti. In questo modo, però, quando dovessero scatenarsi le prime tensioni sui mercati, i rischi sarebbero fin troppo grossi.

E altra minaccia alla stabilità finanziaria globale arriverebbe dalla Cina, dove il settore bancario detiene assets per il 310% del pil, in ascesa dal 240% del 2012.

Le autorità di Pechino, spiega il report, si trovano nel bel mezzo della necessità di sostenere la crescita in rallentamento da un lato e di tendere a un “deleverage” dell’economia cinese, caratterizzata ad oggi da vulnerabilità accresciute, effetto di finanziamenti a breve termine e di un sistema bancario-ombra (“shadow banking”). Infine, rischi anche nell’Eurozona per il nodo insoluto delle sofferenze bancarie e l’aumento degli spread con la riduzione del grado di accomodamento monetario della BCE. (Leggi anche: Paura sui mercati, questo dato sui bond allarma)