La presidenza Trump s’insedierà ufficialmente tra poco più di due mesi, ma già sappiamo che la prossima amministrazione avrebbe in mente di porre fine alla regolamentazione Dodd-Frank, approvata dal Congresso dopo la crisi finanziaria del 2008 e che fissa limiti stringenti all’operatività delle grandi banche americane. I repubblicani vorrebbero una deregulation del settore, smantellando il Consumer Financial Protection Bureau. Eppure, la destra americana punta anche a tornare al Glass-Steagall Act, introdotto negli anni Trenta sotto la presidenza Roosevelt, che separava le banche d’investimento da quelle commerciali, consentendo solo alle prime di investire sui mercati finanziari e riservando alle seconde l’erogazione di prestiti a famiglie e imprese con il denaro raccolto tra i clienti.

Il Glass-Steagall Act è stato superato solo alla fine degli anni Novanta dall’amministrazione Clinton. Non è un caso che la candidata democratica e moglie dell’ex presidente non si sia mai tolta di dosso le accuse trasversali di essere stata una sorta di concausa della crisi finanziaria, avendo eliminato ogni limite alla crescita delle dimensioni delle banche americane, alcune delle quali sono diventate “too big to fail”, ovvero “troppo grandi per fallire”. (Leggi anche: Banche USA, ritorno al passato: e in Italia?)

Banche USA troppo grandi? Varie ipotesi per rimpicciolirle

Lungi dal significare che siano solide, il concetto esprime il rischio che questi grandi istituti, essendo troppo grandi, se fallissero, trascinerebbero nel baratro l’intera economia nazionale e forse mondiale, cosa che è già accaduta nel 2008 con il crac di Lehman Brothers, di cui scontiamo ancora le conseguenze anche in Europa.

Dunque, la nuova amministrazione punterebbe da un lato ad agevolare le banche sul piano delle regole, consentendo loro di operare con più facilità, potendo più facilmente prestare denaro e stimolando così la crescita economica; dall’altro, però, i repubblicani vorrebbero far tornare le banche americane a dimensioni meno mostruose.

 

 

 

Sarà davvero festa per le banche d’affari?

Uno di loro, governatore da un anno della Federal Reserve di Minneapolis, Neel Kashkari, propone la sua ricetta per indurre le banche a rimpicciolirsi. Quale? Gli istituti con assets pari ad almeno 250 miliardi di dollari dovrebbero accantonare tanto di quel capitale, da trovare non conveniente restare grandi. L’idea del banchiere repubblicano sarebbe di elevare dall’attuale 13% al 23,5% il Common equity tier ratio, ovvero la percentuale di capitale da detenere rispetto agli impieghi. E dal calcolo sarebbe escluso il debito a lunga scadenza, ritenuto non un reale cuscinetto contro le potenziali perdite.

L’approccio di Kashkari sembra, però, opposto a quello del presidente eletto, il quale segnala, invece, di volere ammorbidire le regole, per quanto tornando alla separazione tra banche d’investimento e banche commerciali. L’uomo sostiene di non essere stato contattato dal “transition team”, ovvero dalla squadra di Trump, che gestirà il passaggio di consegne alla Casa Bianca entro il 20 gennaio prossimo. In ogni caso, con il ritorno dei repubblicani alla presidenza, pare che il problema delle dimensioni bancarie sia uno dei temi principali del mandato. Che sarà affrontato con disincentivi alla crescita oltre un certo limite o ri-adottando la legge bancaria di ottanta anni fa, sembra che la deregulation paventata da Trump non si tradurrà in un vero sostegno alle grandi banche d’affari. (Leggi anche: Azioni bancarie in crescita sulla presidenza Trump)