Com’era quella storia per la quale l’inflazione sarebbe un fenomeno “transitorio”? Una boutade risalente alla fine del 2021 e che si protrasse fino ai primi mesi dello scorso anno. Le banche centrali andarono nel panico al solo pensiero di dover procedere con un aumento dei tassi d’interesse dopo averli tenuti a zero o persino negativi per lunghissimi anni. S’inventarono la scusa della temporaneità dell’inflazione per guadagnare tempo e sperare che nel frattempo un miracolo riportasse giù la crescita dei prezzi al consumo.

Il miracolo non è avvenuto, forse perché i banchieri centrali sono grandi peccatori e qualcuno lassù ha deciso di non aiutarli.

Inflazione resta alta in Europa, eccezione svizzera

Questa settimana, a conferma che l’inflazione “is here to stay”, come direbbero gli analisti finanziari, c’è stata una nuova raffica di rialzi. La stretta monetaria ha coinvolto quattro principali istituti: Banca d’Inghilterra, Banca Nazionale Svizzera, Norges Bank e, dulcis in fundo, Banca Centrale Turca. Londra ha annunciato un aumento dei tassi dello 0,50% al 5%. La mossa è servita per cercare di spegnere un incendio sempre più duraturo e di vaste proporzioni. L’inflazione britannica a maggio è stata dell’8,7%. E il dato “core” è salito ai massimi da 31 anni, cioè al 7,1%. La sterlina è salita a ridosso del cambio di 1,30 contro il dollaro, ai massimi da aprile 2022.

Anche la Svizzera ha dovuto alzare i tassi, pur solo dello 0,25% e mettendo le mani avanti su prossimi aumenti. Il costo del denaro elvetico resta relativamente basso, all’1,75%. D’altronde, qui l’inflazione è solo del 2,2% e il dato “core” all’1,9%. La BNS vuole cercare di mantenere questa specificità positiva nel panorama mondiale, puntando a tenere forte il franco svizzero. In effetti, il cambio contro l’euro resta sotto la parità a 0,98. Il “super” franco consente all’economia alpina di importare beni dall’estero a costi bassi.

Svolta in Turchia, cade lira

Anche la Norvegia ha alzato i tassi dello 0,50% al 3,75%. Qui, l’inflazione è ancora al 6,7%, stesso dato per la parte “core”, cioè la componente di fondo. Infine, arriviamo alla Turchia. La decisione del nuovo governatore Hafize Gaye Erkan era attesissima. Dopo la rielezione di fine maggio, il presidente Recep Tayyip Erdogan si è arreso alla necessità di una svolta nella conduzione della politica economica, specie monetaria. Infatti, l’aumento dei tassi è arrivato, pur meno drastico delle previsioni: dall’8,50% al 15%. L’inflazione da battere qui è ancora vicina al 40% (39,59% a maggio). Ha poco a che fare con il trend globale e moltissimo con la politica dei tassi bassi perseguita dall’ex governatore Sahap Kavcioglu su pressione proprio di Erdogan.

La lira turca reagiva alla notizia cedendo fino al 5% e segnando un nuovo minimo storico contro il dollaro ad un cambio di 24,80. Venerdì, saliva ancora a 25,30. E’ probabile, però, che sul dato abbia inciso il parziale abbandono del sostegno della banca centrale. Non è un mistero che Erkan voglia svalutare la lira per difendere le riserve valutarie ed evitare una crisi della bilancia dei pagamenti. Come avevamo previsto, ha atteso l’annuncio sui tassi prima di mollare la difesa.

Aumento tassi avvicina recessione

Le due grandi banche centrali avevano annunciato le rispettive decisioni di politica monetaria la settimana scorsa. La Federal Reserve aveva lasciato i tassi invariati solo per adempiere alla promessa di maggio. Ha fatto intendere che li alzerà altre una o più volte. La Banca Centrale Europea dà per scontato un aumento dei tassi a luglio, mentre dibatte al suo interno se vincolarsi già a una ennesima e forse ultima stretta a settembre. Il mercato prevede che i tassi aumenteranno di un altro mezzo punto percentuale rispetto ai livelli fissati al board di questo mese.

La preoccupazione è che l’inflazione stia auto-alimentandosi.

Non è più foraggiata dalla crisi dell’energia. Anzi, i prezzi di petrolio e gas sono crollati, specie i secondi. Il fatto è che i salari starebbero cercando di recuperare il terreno perduto man mano che si avvicinano i rinnovi contrattuali. Ciò vale particolarmente per economie come la Germania, dove la piena occupazione acuisce il potere negoziale dei sindacati. L’aumento dei tassi sembrava avviatosi alla fine già qualche mese addietro. Adesso, invece, la domanda è se scavallerà l’estate. Quasi inevitabile una recessione economica se la stretta persisterà oltre il mese di luglio.

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