Germania e ancora Germania nelle cronache europee di questi giorni. Dopo la discussa sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che ha messo la BCE in mora sul programma di acquisto di assets noto come “quantitative easing”, l’eurodeputato tedesco dei Verdi, Sven Giegold, ha inviato una lettera alla Commissione UE, nella quale ha chiesto lumi sulla sua posizione in merito alla vicenda. Dopo qualche giorno, è arrivata la risposta della presidente Ursula von der Leyen, la quale ha rassicurato il destinatario circa l’intenzione di Bruxelles di valutare “molto seriamente” la possibilità di aprire una procedura d’infrazione contro Berlino, rea di di avere messo in dubbio la preminenza del diritto europeo su quello nazionale, di fatto avallando ricorsi anche degli altri stati contro le istituzioni comunitarie, accusate dalla Corte di agire “ultra vires”, cioè al di là dei loro poteri.

Martedì 5 maggio, i giudici tedeschi hanno salvato formalmente il QE della BCE, ma hanno assegnato a quest’ultima 90 giorni di tempo per chiarire sul rispetto del principio di proporzionalità utilizzato negli acquisti di assets. In assenza di una spiegazione (convincente), la Bundesbank non potrà più partecipare al programma monetario, cioè dovrà cessare gli acquisti di Bund e rivendere quelli in portafoglio. Di fatto, la sentenza piccona l’euro dalle fondamenta, perché da un lato espone la BCE a ricorsi nazionali, dall’altro rischia di privarla del suo azionista di maggioranza relativa nella fase più difficile da quando nacque la moneta unica nel 1999.

Ma voi ritenete credibile che Bruxelles, guidata dalla tedesca e fedelissima di Angela Merkel, apra una procedura d’infrazione contro la Germania? Probabile che von der Leyen, consapevole di essere percepita in Europa come troppo vicina alle posizioni tedesche, abbia approfittato della lettera per mostrarsi equidistante da tutti i governi, minacciando un’azione che nella realtà non adotterà mai.

Come per dire che se i tedeschi sgarrassero, ne pagherebbero le conseguenze come tutti gli altri, dissuadendo il resto dell’Eurozona dal seguirli sulla strada del “sovranismo” giuridico.

La sentenza tedesca contro la BCE è una bomba lanciata contro l’euro

Lo scenario di una “exit” della Germania

Potrebbe, però, esservi una spiegazione molto più allarmante. La Germania ha capito che l’euro si regge solo su stimoli monetari continui, non più eccezionali, che nei fatti si traducono in una forma palese di monetizzazione dei debiti sovrani. Teme che di questo passo si arrivi alla loro condivisione, oltre che a una cancellazione per la parte in possesso della BCE. Per questo, con la sentenza hanno voluto mettere in guardia Francoforte sull’ipotesi che il QE diventi eterno, così come sul mantenimento dei bond nel bilancio troppo a lungo. Se l’Eurotower chiarisse che rivenderà i titoli alla prima occasione utile e ribadisse la natura “eccezionale” del QE, Berlino avrà ottenuto l’indubbio successo di aver rimesso in riga tutti i governi dell’area, spegnendo i loro sogni di lassismo fiscale e monetario.

Se, invece, l’istituto si spingesse fino al punto di rivendicare una conduzione della politica monetaria del tutto autonoma dal diritto tedesco, inizierebbero i guai seri per l’euro. Senza la Bundesbank, il QE non avrebbe più alcuna credibilità e i mercati prenderebbero di mira il ventre molle dell’area (Italia, Spagna, forse anche Francia) per specularvi contro. Saremmo alla crisi dello spread del 2011-’12, ma senza la garanzia di un Mario Draghi al timone. La Germania non vuole assumersi la responsabilità epocale di una rottura dell’euro, anche perché seguirebbe quella di aver provocato ben due guerre mondiali. Ed ecco che sarebbe alla ricerca di un “incidente” storico per giungere alla rottura, addebitandola agli altri.

Se i commissari si scontrassero con Berlino sul piano giuridico, il governo federale tedesco, che è soggetto alla Costituzione e alle sentenze dell’organo deputato a tutelarla, non potrebbe che alzare le mani e spiegare ai partner dell’area che di più non potrebbe fare, che gli è impedito di forzare le leggi fondamentali e che o accettano la sua posizione o dovranno tirarne le somme.

In sostanza, un bluff dal finale tutt’altro che piacevole per tutti. I tedeschi rovescerebbero il tavolo e chiamerebbero a raccolta gli alleati capaci di seguirne la politica monetaria e fiscale senza l’infrazione della Grundgesetz. Non più l’euro, ma almeno due: uno per il Nord virtuoso e forte, l’altro per il Sud lassista e debole. Del resto, di euro a due velocità se ne parla apertamente da tre anni.

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