Quotazioni del petrolio in risalita dopo la riunione dell’OPEC a Vienna nel fine settimana. Il Brent è schizzato sopra 77 dollari al barile, in crescita di oltre il 6% e circa 4,40 dollari rispetto alla chiusura del 31 maggio. Il cartello ha annunciato un nuovo taglio dell’offerta da 1 milione di barili al giorno a partire da luglio. Ad aprile, aveva sorpreso il mercato con l’annuncio di un taglio della stessa entità in vigore da maggio. Questa volta, sarà la sola Arabia Saudita ad accollarsi il sacrificio.

Altri nove membri dell’organizzazione, che si erano impegnati a mantenere il taglio dell’offerta fino al dicembre 2023, adesso lo estenderanno fino alla fine dell’anno prossimo. Infine, le quote assegnate ai paesi con difficoltà nel centrarle saranno redistribuite a favore dei membri che dispongono capacità di aumento della produzione. Possono così sorridere gli Emirati Arabi Uniti, che incrementeranno la loro quota a discapito di membri africani come la Nigeria.

Annuncio complica piani banche centrali

La stessa Russia, che collabora con l’OPEC dall’esterno, si è impegnata ad estendere il taglio dell’offerta da 500.000 barili al giorno fino al dicembre 2024. Il cartello ha fatto presente che non intende accettare quotazioni petrolifere sotto i 75 dollari al barile. Con questa iniziativa, i sauditi si confermano leader capaci di mantenere la coesione tra i partner e oramai poco o affatto influenzabili dagli Stati Uniti e l’Occidente in generale.

Il taglio della produzione di petrolio OPEC, in effetti, non fa sorridere paesi importatori come l’Europa e gli stessi Stati Uniti. La decisione rischia di tenere alti i prezzi dell’energia proprio quando sembravano destinati a “normalizzarsi” dopo un infausto 2022. D’altra parte, le quotazioni erano scese ai minimi da fine 2021. E il segnale che arriva da Vienna, sede dell’organizzazione, in un certo senso è negativo per l’economia mondiale.

Se l’offerta di petrolio OPEC si riduce per due volte in due mesi, significa che la domanda è attesa bassa.

Prima dell’annuncio, le posizioni “short” sul petrolio sui mercati erano ai massimi dal 2011. Ed è stata forse questa la ragione per cui i sauditi hanno voluto intervenire. Un tracollo delle quotazioni avrebbe avuto effetti negativi sui bilanci statali del Golfo Persico, che in questo periodo scoppiano di salute. Ma la mossa ha avuto anche un sapore di sfida contro l’Occidente. Più alte le quotazioni, più difficile per esso uscire dall’inflazione elevata di questa fase. E, soprattutto, meglio per la Russia contro cui combatte. Ogni dollaro incassato in più da Mosca finanza la guerra in Ucraina.

Taglio petrolio OPEC legato a nuova IPO Aramco?

L’annuncio sul taglio dell’offerta di petrolio OPEC può anche essere legato alla volontà di Riad di cedere al più presto un’altra quota di Aramco, la compagnia petrolifera statale. Nel 2019 il regno mise in vendita l’1,8% delle azioni e incassò 29,4 miliardi di dollari. Attualmente, in borsa la compagnia capitalizza oltre 2.000 miliardi. La sua parziale privatizzazione rientra tra le misure perseguite dal principe ereditario Mohammed bin Salman per diversificare l’economia domestica e sganciarla dall’eccessiva dipendenza dal petrolio. Più alte le quotazioni internazionali e maggiore sarebbe il nuovo incasso per lo stato saudita.

Ad ogni modo, l’impatto di questo annuncio rischia di essere effimero come quello di due mesi fa. Allora, le quotazioni salirono fin sopra 87 dollari per ripiegare in prossimità dei 70 dollari nelle settimane successive. Anche se restassero ai livelli attuali, non infliggerebbero danni alle economie importatrici. L’anno scorso, in media si attestarono poco sotto i 100 dollari. E quest’anno iniziavano sopra 85 dollari. Tra l’altro, il dollaro si era indebolito tra aprile e maggio fino ai minimi da un anno contro le principali valute mondiali.

Le tensioni sul tetto al debito americano lo hanno rafforzato di un buon 4%. Tutto questo con un’economia americana ancora solida. Se cedesse il passo alla recessione, non ci sarebbe taglio dell’OPE che tenga.

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