Ursula von der Leyen vi ha fatto visita pochi giorni fa, accompagnata dai capi di governo di Italia, Grecia e Belgio. Ma possiamo affermare che Il Cairo sia un via vai di politici e funzionari delle istituzioni internazionali. Il presidente Abdel Fattah Al Sisi non è stato lasciato solo a fronteggiare la drammatica crisi dell’Egitto di questi mesi. L’inflazione a febbraio è esplosa al 35,7% dal 29,8% di gennaio. E ancora devono materializzarsi gli effetti della maxi-svalutazione di inizio marzo, quando il cambio ha perso un altro 38% contro il dollaro Usa.

Progetti faraonici concausa della crisi fiscale

Progetti faraonici concausa della crisi fiscale © Licenza Creative Commons

Crisi in Egitto, qualche numero

Il “faraone” è stato rieletto alla presidenza nel dicembre scorso con un plebiscito. E’ al potere dal 2013, anno in cui organizzò un colpo di stato contro il presidente islamista Mohamed Morsi di cui era ministro della Difesa. Da allora l’Egitto è stato riportato nell’alveo delle potenze alleate dell’Occidente e con tendenze laiche. Tuttavia, la crisi dell’economia si è fatta grave negli ultimi anni. Il debito pubblico sfiora il 100% del Pil, il disavanzo dello stato per l’anno fiscale in corso è atteso a 26,7 miliardi di dollari, il 7% del Pil. La spesa per interessi assorbe un quarto delle spese complessive e incide per un terzo delle entrate. Le riserve valutarie sono magre, ad appena 35,3 miliardi.

Una delle cause di questa crisi fiscale consiste nel varo di mega-progetti, tra cui la costruzione in itinere della nuova capitale amministrativa e di un altro canale a Suez. Il loro costo, inizialmente stimato in 45 miliardi di dollari, ammonta adesso a 58 miliardi. La guerra in Ucraina ha fatto schizzare il costo di derrate alimentari importate come la farina. Il peso dei sussidi sul bilancio pubblico è salito. Nel frattempo, invece, si sono ridotte entrate come i diritti di transito delle navi da Suez, a causa degli attacchi dei ribelli Houthi nello Yemen.

Aiuti globali per quasi $60 miliardi

Poche settimane fa, contestualmente alla svalutazione del cambio, la banca centrale ha alzato i tassi di interesse di 600 punti base. Misure necessarie per arrestare la crisi dell’Egitto e favorire un accordo con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. La prima ha staccato un assegno di 6 miliardi, il secondo ha esteso il suo sostegno a 8 miliardi. Altri 8 miliardi sono arrivati dall’Unione Europea, mentre il grosso degli aiuti sono arrivati dagli Emirati Arabi Uniti. Hanno acquistato per 35 miliardi di dollari, di cui 24 cash da pagare in un paio di mesi, i diritti di sfruttamento di un’intera area costiera per sviluppare l’economia turistica.

Il conto totale si attesta a 57 miliardi. Tanti soldi che certamente eviteranno che la crisi dell’Egitto degeneri in un default, perlomeno nel breve e medio termine. Ma perché il mondo si è precipitato nel giro di poche settimane alla corte di Al Sisi per salvarne l’economia? Il paese nordafricano ha il Pil più alto del continente con circa 400 miliardi di dollari. E ha la terza popolazione più grande dopo Nigeria ed Etiopia con 105 milioni di abitanti. Già questi due numeri ci fanno capire la gravità che assumerebbe un’eventuale degenerazione della crisi in Egitto.

Al Sisi ponte tra Occidente e mondo mussulmano

Il fattore geopolitico amplifica tale condizione. Come detto, Il Cairo è un alleato dell’Occidente e tra i principali stati del mondo mussulmano. La sua posizione di mediazione tra questi due mondi si rivela preziosissima, specie in una fase burrascosa come questa. Per non parlare del ruolo di stabilizzazione che esercita grazie al controllo dei flussi migratori dall’area orientale del Nord Africa. Tra l’altro la Striscia di Gaza si trova proprio a ridosso delle sue frontiere.

Non conviene a nessuno che l’economia egiziana collassi.

Questo fiume di denaro eviterà il peggio, ma senza riforme la crisi in Egitto non cesserà. La svalutazione è stato il primo passo per ricondurre il cambio ai suoi fondamentali. Al mercato nero continua a valere un po’ meno contro il dollaro, ma le distanze con il cambio ufficiale si sono quasi colmate del tutto. Il taglio dei sussidi si rende necessario per risanare le finanze statali, ma al contempo entrambe le misure non faranno che accelerare nel breve il tasso d’inflazione. Vedasi quanto stia accadendo nell’Argentina di Javier Milei in questi mesi.

Ripresa economica in Egitto grazie al turismo?

Ripresa economica in Egitto grazie al turismo? © Licenza Creative Commons

Sollievo alla crisi in Egitto con l’arrivo dell’estate?

Un barlume di speranza potrebbe arrivare nei prossimi mesi con la ripresa del turismo. La svalutazione da una parte e la fine della pandemia sosterrebbero i flussi in ingresso di stranieri. Ciò darebbe sollievo alle riserve valutarie. Ma le tensioni geopolitiche nell’area rischiano di disincentivare gli arrivi. E non aiuta forse neppure l’immagine repressiva che la stampa occidentale diffonde della società sotto Al Sisi. Di certo c’è che il mondo rarissimamente ha sostenuto un’economia in affanno con così tanto denaro in breve tempo. E questo non fa che svelare la gravità che avrebbe la detonazione della crisi in Egitto.

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