Houthi” è tra le parole più cercate nei motori di ricerca dagli utenti italiani negli ultimi giorni, più precisamente da dopo il 2 marzo scorso. Che cosa è successo in quella data e perché da allora questo gruppo fino ad allora a molti di noi sconosciuto è diventato una minaccia per l’Italia. Il rischio di guerra è reale o si tratta al momento di una speculazione? Cerchiamo di fare chiarezza sulla vicenda.

Cosa è successo il 2 marzo

Partiamo proprio dall’episodio incriminato che ha innescato il clima di tensione con l’Italia. 

Quel sabato, esattamente dieci giorni fa,  un drone si è avvicinato al cacciatorpediniere Caio Duilio; la nave italiana ha aperto il fuoco abbattendo il drone.

Era dalla Seconda guerra mondiale che una nave italiana non finiva nel mirino. Chi ha lanciato il drone e perché?

Quel drone è stato lanciato appunto dai miliziani Houthi. Ufficialmente la Caio Duilio si trova nel Mar Rosso per la missione Aspides, un dispositivo di difesa dell’Unione Europea varato proprio per contenere gli attacchi degli Houthi nell’area. L’episodio però ha suscitato una pronta reazione: Nasr al Din Amer, vice capo dell’Autorità per i media degli Houthi ha parlato in merito  all’abbattimento di  “un’operazione inaccettabile”.

Ma chi sono gli Houthi e che cosa vogliono da noi (o che cosa vogliamo noi da loro)?

Gli Houthi, chi sono e perché parlano di fare guerra all’Italia

Gli Houthi sono una formazione sciita che controlla gran parte dello Yemen. Letteralmente il nome del gruppo significa “partigiani di Dio”. La composizione risale ai primi anni 90 ma solo nel 2015, con lo scoppio della primavera araba in Yemen, la situazione degenera.

La guerra civile ha causato oltre 160 mila vittime.

Quando diciamo che gli Houthi controllano gran parte dello Yemen, intendiamo che hanno in mano Sana’a, la capitale yemenita, in particolare i settori occidentali.

Gli attacchi in Yemen hanno effetti sull’inflazione e sull’economia europea e mondiale.

Perché non possiamo considerali miliziani come altri? Perché setacciano il territorio,  chiedono soldi, riscuotono tasse, hanno un piccolo esercito e soprattutto un alleato potente: l’Iran. L’Iran ha visto negli Houthi un ponte per diffondere la corrente sciita in un paese a prevalenza sunnita. Ma come è facile intuire l’alleanza va oltre l’ideologia: l’Iran favorisce la creazione di fabbriche in Yemen per la produzione di droni. Questi servono ufficialmente a bloccare gli aiuti via mare a Israele. Ma di fatto finiscono tutti nel calderone.

Qual è il livello di allarme?

Ad oggi il rischio di attacco è moderato. Gli Houthi hanno chiarito di non avercela in particolar modo con il nostro Paese. Tuttavia il loro portavoce ha specificato che se l’Italia dovesse intromettersi nelle questioni del Medio Oriente, loro “saranno chiamati” a rispondere.

La tensione è più alta con altri Paesi, già prima dell’episodio che ha interessato il cacciatorpediniere  italiano.

Il 12 gennaio Joe Biden aveva annunciato che Usa e Regno Unito “con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada e Olanda, hanno condotto attacchi contro una serie di obiettivi nello Yemen utilizzati dai ribelli Houthi per mettere a repentaglio la libertà di navigazione in uno dei corsi d’acqua più vitali del mondo”. Nelle settimane antecedenti missili e droni houthi erano stati intercettati nel Mar Rosso, e la preoccupazione è quella di un allargamento del conflitto Israele-Hamas fuori dai confini attuali.

A destare preoccupazione sono le armi a disposizione degli Houthi. Tra queste troviamo il Toophan, missile iraniano capace di arrivare fin dentro il territorio israeliano