Un recente chiarimento da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha acceso i riflettori su una prassi spesso adottata, ma non conforme al quadro normativo italiano: la corresponsione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) in forma frazionata su base mensile.
Con la nota n. 616 del 3 aprile 2025, l’INL ha delineato i profili di illegittimità connessi a questa modalità di pagamento, evidenziando le ricadute fiscali e contributive che possono colpire il datore di lavoro, in particolare nel settore del lavoro domestico.
La funzione del TFR e le sue regole fondamentali
Il TFR rappresenta una componente della retribuzione differita, vale a dire un’indennità che matura nel corso dell’attività lavorativa ma viene corrisposta soltanto alla cessazione del rapporto.
La sua finalità è quella di offrire un sostegno economico al lavoratore nel momento in cui perde la fonte di reddito rappresentata dallo stipendio. Per tale motivo, il legislatore ha previsto un regime rigido per l’erogazione di questo trattamento, disciplinato dall’articolo 2120 del Codice Civile.
Tale norma ammette l’anticipazione del TFR solo in specifiche situazioni e secondo criteri ben precisi:
- per motivi previsti dalla legge, come spese mediche straordinarie o l’acquisto della prima abitazione;
- in presenza di disposizioni più favorevoli contenute in contratti collettivi o accordi individuali.
In entrambi i casi, tuttavia, l’anticipazione riguarda esclusivamente le quote di TFR già maturate, e non può trasformarsi in un’erogazione sistematica con cadenza mensile.
Il chiarimento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sul TFR mensile
L’intervento dell’INL si è reso necessario a fronte della diffusione di una prassi tanto diffusa quanto irregolare, soprattutto nei rapporti di lavoro domestico: l’inserimento del TFR mensile all’interno della busta paga ordinaria.
Alcuni datori di lavoro, spesso per esigenze di liquidità o per facilitare la gestione delle uscite familiari, scelgono di anticipare ogni mese una quota del TFR, evitando così l’onere dell’esborso totale alla fine del rapporto.
Tuttavia, secondo l’interpretazione offerta nella nota n. 616, questa prassi è contraria non solo alla natura del TFR come retribuzione differita, ma anche alla normativa civilistica e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. In particolare, l’ordinanza n. 4670 del 2021 ribadisce che l’anticipazione è un’eccezione alla regola generale e può essere concessa solo in presenza di circostanze tassativamente individuate.
Conseguenze fiscali e contributive
L’erogazione del TFR mensile ha importanti implicazioni anche sotto il profilo fiscale e previdenziale. Quando il TFR viene corrisposto insieme alla retribuzione ordinaria, rischia di perdere la sua natura giuridica specifica e di essere assimilato al salario. Ciò comporta l’applicazione di una diversa disciplina fiscale, in quanto il TFR gode di un regime agevolato rispetto alla retribuzione mensile.
Inoltre, trattandosi di un importo che dovrebbe essere accantonato e rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT, la corresponsione anticipata impedisce il regolare accumulo e rivalutazione del montante, con potenziali svantaggi sia per il lavoratore che per il datore. Quest’ultimo, in particolare, rischia un’esposizione a sanzioni da parte degli organi ispettivi.
L’obbligo di regolarizzazione e i rischi per il datore di lavoro
L’INL, nella medesima nota, ha fornito indicazioni operative ai propri funzionari: in caso di accertamento della prassi di TFR mensile, gli ispettori sono tenuti a imporre l’immediata cessazione di tale condotta. Inoltre, il datore dovrà ricostituire l’accantonamento secondo le modalità previste dalla legge.
Nel caso in cui non sia possibile dimostrare che gli importi anticipati non erano destinati al TFR ma facevano parte della retribuzione ordinaria, il datore rischia di dover affrontare controversie complesse, sia sul piano ispettivo sia in sede giudiziaria. Questo perché, in assenza di una corretta documentazione, sarà difficile sostenere che tali somme non fossero TFR. Con il rischio di doverle nuovamente accantonare o, peggio, pagare due volte.
Pagamento TFR mensile: il caso specifico del lavoro domestico
Il chiarimento dell’Ispettorato assume particolare rilevanza per il comparto dei collaboratori familiari, come colf, badanti e babysitter. In questo settore, privo di un’organizzazione aziendale strutturata, molti datori di lavoro – privati cittadini – scelgono di pagare il TFR mensile per evitare oneri futuri troppo onerosi.
Tuttavia, la normativa non fa distinzione tra datori “professionali” e datori privati: anche nel lavoro domestico, l’erogazione mensile del TFR risulta priva di legittimità. A meno che non rientri nelle ipotesi di anticipazione previste dalla legge o da un contratto collettivo. Di conseguenza, anche le famiglie che adottano questa prassi rischiano sanzioni e obblighi di ricostituzione.
Divieto del TFR mensile: verso una maggiore consapevolezza normativa
Il chiarimento dell’INL rappresenta un monito importante per tutti coloro che gestiscono rapporti di lavoro, anche in ambito domestico. La tentazione di semplificare la gestione amministrativa attraverso il TFR mensile va affrontata con cautela, considerando le conseguenze legali e finanziarie che possono derivarne.
In un contesto normativo che tutela con rigore la posizione del lavoratore, il rispetto delle regole in materia di accantonamento del TFR non può essere considerato un dettaglio formale. Si tratta, al contrario, di un adempimento sostanziale, che incide sulla correttezza del rapporto contrattuale e sulla serenità del datore di lavoro.
Riassumendo
- Il TFR è una retribuzione differita, da erogare solo alla cessazione del rapporto.
- L’INL vieta l’erogazione del TFR mensile in busta paga.
- Anticipi TFR sono ammessi solo in casi specifici previsti dalla legge o contratti.
- Il TFR mensile altera il regime fiscale e contributivo previsto.
- I datori devono interrompere la prassi e ripristinare l’accantonamento legale.
- Anche nel lavoro domestico vale il divieto di TFR mensile.