Non possiamo ancora parlare di un vero sconquasso per i mercati finanziari, anzi oggi le borse europee stanno persino reagendo positivamente. Resta il fatto che la guerra diretta tra Israele e Iran segna un possibile shock per l’economia mondiale. Essa ci rievoca la crisi del petrolio del 1979, anno in cui l’ayatollah Khomeini partì da Parigi, dove godeva dell’asilo politico, per rovesciare il regime dello scià di Persia e instaurare la prima Repubblica Islamica del pianeta. Il Brent è schizzato da una media inferiore ai 65 dollari a un massimo di 75 dollari a seguito del conflitto tra Tel Aviv e Teheran.
Troppo poco ancora per dire che siamo dinnanzi ad uno scenario di crisi, ma le somiglianze con quanto avvenne quasi mezzo secolo fa iniziano ad essere molteplici.
Rivoluzione islamista del ’79 dopo guerra Yom Kippur
Dicevamo, nel ’79 l’Iran cadde sotto i colpi della rivoluzione islamista. Khomeini prese il potere e instaurò un regime teocratico. La produzione di petrolio diminuì di 4,8 milioni di barili al giorno, a causa degli scioperi. Sarebbe risalita solo parzialmente con il cambio di regime. Un crollo equivalente al 7% dell’allora produzione mondiale. Le quotazioni del Brent passarono da 15 a poco meno di 40 dollari. I mercati reagirono molto intensamente e le conseguenze per l’economia mondiale furono devastanti: il ritorno alla stagflazione.
Questa fu la seconda crisi del petrolio dopo quella del 1973-’74, quando gli stati arabi decisero di punire l’Occidente per il sostegno offerto a Israele nella guerra dello Yom Kippur contro Egitto e Siria. Smisero di vendergli petrolio e di conseguenza le quotazioni quadruplicarono.
L’impatto fu profondo per le economie importatrici, che subirono forti rincari dell’energia. In Italia, quelli furono gli anni dell’“austerity” tra domeniche a piedi e ristoranti aperti solo fino a mezzanotte per risparmiare sui consumi della corrente elettrica.
Rischio inflazione e rialzo tassi globali
A differenza del ’73, la reazione dell’Occidente alla crisi del petrolio nel ’79 consistette nell’aumentare i tassi di interesse per debellare l’inflazione. A costo di una breve, ma intensa recessione l’operazione funzionò a partire dagli USA di Ronald Reagan e il Regno Unito di Margaret Thatcher. Rispetto ad allora esistono varie similitudini. Anzitutto, le tensioni geopolitiche con epicentro sempre Israele. Secondariamente, già negli anni passati abbiamo patito il boom delle quotazioni petrolifere, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Infine, siamo reduci da un periodo di alta inflazione e stiamo appena per vedere la luce in fondo al tunnel.
C’è il rischio che, così come a fine anni Settanta, le banche centrali siano costrette a rialzare i tassi di interesse per impedire il surriscaldamento delle aspettative d’inflazione. Tuttavia, esistono anche profonde differenze rispetto ad allora. In primis, gli stati arabi sembrano persino desiderosi di aumentare la loro produzione di petrolio per sopperire all’eventuale calo in Iran. L’Arabia Saudita ha stretto in tal senso un patto implicito con gli USA di Donald Trump.
E il mondo oggi è meno petrolio-dipendente degli anni Settanta. Considerate che dal ’79 il Pil globale è aumentato di 11 volte, mentre l’offerta di greggio di appena il 50%.
Crisi del petrolio scenario incerto
L’Iran stesso è meno determinante per le sorti del pianeta. Prima della seconda crisi del petrolio incideva per circa il 9% dell’offerta mondiale, mentre oggi per circa il 3,3%. Il regime dell’ayatollah Khamenei non sembra neppure intenzionato a punire l’Occidente con la chiusura dello Stretto di Hormuz, dove transitano quotidianamente circa non meno di 17 milioni di barili di greggio. La ragione è semplice: non può permettersi di rinunciare alle esportazioni, senza le quali la sua economia imploderebbe del tutto. Per il momento, quindi, il rialzo delle quotazioni è dovuto sia alla paura dei mercati per quel che potrebbe accadere, sia per i possibili cali delle estrazioni negli impianti domestici a causa dei raid israeliani.
Se le quotazioni restassero ai livelli attuali, tutto sommato non potremmo neppure parlare di vera crisi del petrolio. Saremmo semplicemente tornati ai livelli di inizio aprile, prima che Trump annunciasse la raffica dei dazi sulle importazioni dall’estero. Comunque vada, questa situazione aumenta l’incertezza globale, che a sua volta può rallentare la già debole attività economica. A meno che questo conflitto non sfoci presto in una caduta del regime iraniano, i rischi per la crescita appaiono improntati al ribasso. Con o senza inflazione.