Il 2025 si apre all’insegna delle tensioni per milioni di lavoratori italiani. Secondo i dati diffusi dall’Istat, quasi la metà dei dipendenti resta in attesa del rinnovo del proprio contratto collettivo nazionale. Nonostante i segnali di ripresa e una maggiore attività nei tavoli negoziali, il quadro rimane a tinte fosche. Alla fine di marzo, infatti, sono solamente 40 i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica, pari al 52,7% del totale dei lavoratori coperti. La restante metà, il 47,3%, non ha ancora visto aggiornato il proprio contratto. Questo significa che circa 6,2 milioni di lavoratori stanno vivendo una fase di stallo che si traduce in aumenti salariali congelati e incertezza sul futuro.
Il settore pubblico è quello maggiormente colpito. Qui la percentuale dei contratti scaduti tocca il 100%. Tutto fermo per ministeri, enti locali e scuola, con i rinnovi 2022-2024 scaduti e le trattative per i nuovi accordi ancora in fase preliminare. Nel settore privato, invece, l’andamento è stato più dinamico, grazie al rinnovo di contratti importanti che hanno dato respiro a diversi comparti produttivi.
Contratti collettivi 2025: chi ha già firmato e chi resta indietro
Nel primo trimestre dell’anno, si contano nove rinnovi contrattuali, in diversi settori chiave per l’economia italiana. Tra questi figurano la logistica, l’edilizia, i ministeri, le agenzie fiscali, l’energia elettrica, gli autoferrotranvieri, la Rai e il settore socio-assistenziale Uneba. Si tratta di comparti con una vasta platea di lavoratori che, grazie al rinnovo, hanno potuto contare su aumenti salariali e aggiornamenti normativi che rispecchiano le sfide attuali, a partire dall’inflazione.
L’accordo per il comparto dell’edilizia, ad esempio, ha portato ad un incremento medio delle retribuzioni e ad un rafforzamento delle misure di sicurezza sul lavoro.
Anche nel settore energia elettrica il rinnovo ha introdotto novità importanti, tra cui incentivi per la formazione dei lavoratori nell’ambito della transizione ecologica.
Nonostante questi risultati, il dato resta parziale. Restano ancora fermi molti settori nevralgici. È il caso del commercio e del turismo, due comparti che occupano centinaia di migliaia di lavoratori e che faticano a trovare una sintesi tra le richieste delle parti sociali. La stessa industria metalmeccanica, tradizionalmente tra le più attive nei rinnovi, vede una parte consistente dei lavoratori ancora con il contratto scaduto.
Attesa snervante: salari fermi e inflazione che erode il potere d’acquisto
Il ritardo nei rinnovi non è solo una questione burocratica o normativa. Per i lavoratori, soprattutto in un contesto economico segnato da prezzi elevati e inflazione persistente, ha ricadute concrete e quotidiane. Avere un contratto scaduto significa infatti non poter beneficiare degli adeguamenti retributivi necessari per mantenere il potere d’acquisto.
Nel corso del 2024 l’inflazione, pur in lieve rallentamento, ha continuato a mordere. Il costo della vita è aumentato in maniera sensibile, soprattutto nei comparti energetico e alimentare. I lavoratori senza rinnovo hanno così visto il proprio stipendio reale ridursi progressivamente, con un impatto significativo sulle famiglie, in particolare quelle monoreddito.
Anche dal punto di vista psicologico e motivazionale, la mancanza di un contratto aggiornato rappresenta un elemento destabilizzante. L’assenza di certezze sulle retribuzioni future, sui diritti e sulle condizioni di lavoro rischia di incidere negativamente sul benessere e sulla produttività. Le stesse imprese, pur beneficiando nel breve periodo di minori costi del lavoro, si trovano a dover gestire un clima interno più teso e meno orientato alla collaborazione.
Prospettive e sfide per i prossimi mesi
Il secondo trimestre del 2025 si preannuncia cruciale. Da un lato c’è la volontà politica di imprimere un’accelerazione ai negoziati, soprattutto nella pubblica amministrazione. Dall’altro, le imprese restano caute, preoccupate da uno scenario economico che continua a presentare incognite, sia a livello nazionale che internazionale.
Le parti sociali sono chiamate a uno sforzo ulteriore. Per sbloccare la situazione servono mediazioni efficaci e un nuovo patto tra datori di lavoro e sindacati. Tra le richieste dei lavoratori spiccano, oltre agli aumenti salariali, anche maggiori garanzie su welfare, smart working, conciliazione vita-lavoro e percorsi di crescita professionale. Sul fronte datoriale, invece, si insiste su maggiore flessibilità contrattuale e riduzione del cuneo fiscale.
Quel che è certo è che la stagione dei rinnovi contrattuali non può più attendere. Per garantire stabilità e sostenibilità al sistema economico e sociale del paese è fondamentale che il 2025 diventi davvero l’anno del rilancio delle relazioni industriali. Dopo anni di stop and go e con milioni di lavoratori ancora fermi al palo, il tempo delle attese è finito.
In sintesi.
- Alla fine di marzo 2025 solo il 52,7% dei lavoratori è coperto da un contratto collettivo aggiornato.
- La pubblica amministrazione resta ferma: 100% dei contratti scaduti.
- Senza rinnovi, salari fermi e inflazione erodono il potere d’acquisto.