Ieri, l’ISTAT ha rivisto al ribasso l’inflazione di aprile in Italia rispetto alla stima preliminare. I prezzi al consumo sono aumentati dell’1,9% e non del 2% annuale come previsto inizialmente. Su base mensile hanno segnato un rialzo dello 0,1%, in rallentamento dallo 0,3% di marzo. Una buona notizia per le famiglie italiane, perché l’inflazione si traduce nella perdita del loro potere di acquisto. Meno sale e meglio è. Ma altri dati l’hanno offuscata. L’inflazione “core”, calcolata al netto di generi alimentari freschi e beni energetici, ha segnato un’accelerazione tendenziale dall’1,7% al 2,1%. E il cosiddetto “carrello della spesa” è rincarato del 2,6% dal 2,1% di marzo.
Carrello spesa e abitudini di consumo
Mettiamoci nei panni di un comune lettore, che solamente a leggere tutti questi numeri non ci capisce (giustamente) niente. La prima domanda da porsi è la seguente: quanti tassi d’inflazione esistono? La risposta non è scontata. L’inflazione capta la variazione dei prezzi di beni e servizi. Quali? Tutti quelli inclusi nel paniere ufficiale dell’ISTAT, che cambia di anno in anno in base alle mutate abitudini di consumo degli italiani. Ad esempio, oggi non avrebbe senso calcolare il prezzo di un videoregistratore, perché la tecnologia lo ha reso obsoleto e di fatti non lo compra più nessuno.
Diversi indici ISTAT
Il paniere ISTAT deve essere quanto più rappresentativo possibile dei consumi degli italiani, altrimenti fornirebbe dati non corrispondenti al vero. Operazione più facile da dirsi che farsi. In effetti, lo stesso istituto utilizza diversi indicatori per cercare di fornire dati quanto più attinenti alle varie esigenze. Tanto per fare un esempio, l’indice FOI segue l’andamento dei prezzi di beni e servizi acquistati da una famiglia-tipo di operai e impiegati.
A sua volta può includere o meno i tabacchi. Il NIC, indice per l’intera collettività nazionale, fornisce il dato sull’inflazione che leggiamo con maggiore frequenza sui media. Il famoso 1,9% di aprile di cui sopra.
L’IPCA, indice dei prezzi al consumo armonizzato, è quello che si considera ai fini del confronto con gli altri stati dell’Eurozona. Viene usato tra l’altro dal mercato delle locazioni per rivalutare i canoni di anno in anno. E il carrello della spesa? Non è un vero indice, trattandosi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona che le famiglie acquistano abitualmente. Attenzione, perché esso non va confuso con i “prodotti ad alta frequenza di acquisto”. Ad esempio, questi hanno registrato una crescita dei prezzi in calo all’1,6% dall’1,9% di marzo nel mese di aprile.
Inflazione in risalita
Dopo questa lunga premessa, siamo in grado di capire se l’inflazione stia salendo o scendendo e quale sia l’effetto concreto per noi consumatori in carne e ossa? Possiamo affermare che, senza ombra di dubbio, i prezzi al consumo dall’autunno del 2023 si siano stabilizzati. Dal settembre del 2023 sono aumentati dell’1,7%, che è una cifra medio-bassa in 19 mesi.
Tuttavia, negli ultimi mesi registriamo un’accelerazione, che si traduce in una più alta crescita dell’inflazione su base annua. Basti pensare che dal settembre scorso i prezzi sono aumentati dell’1,1%, cioè del 65% rispetto all’aumento sopra segnalato da 19 mesi a questa parte.
Il carrello della spesa è un modo per l’ISTAT di indicarci i rincari per quei prodotti di uso comune. Può accadere, infatti, che l’inflazione scenda e le famiglie non abbiano alcuna sensazione che i prezzi stiano stabilizzandosi. Ciò può derivare dal fatto che acquistino proprio quei prodotti che stanno continuando a rincarare e magari con prezzi in accelerazione. C’è poi una questione che va chiarita: inflazione in calo non significa prezzi in calo. L’inflazione segnala una variazione dei prezzi. Quando scende, significa semplicemente che i prezzi stiano crescendo più lentamente di prima. Per capirci, se anche l’inflazione annuale fosse dello 0,1%, in media i prezzi sarebbero pur sempre appena più alti di un anno fa.
Differenza tra inflazione e prezzi
Avvertiremmo un calo dei prezzi con l’inflazione negativa. Accade molto raramente (più che altro su base mensile), ma accade. Se il trend si protrae per diversi mesi, si entra in quella che si definisce deflazione. Torniamo al carrello della spesa. I prodotti alimentari e le bevande analcoliche sono rincarati del 29,4% dal 2019. Dunque, quando le famiglie sostengono che fare la spesa oggi costi molto di più rispetto a prima del Covid, dicono una cosa giustissima. Abbigliamento e calzature nello stesso periodo hanno segnato un +17,8%. Peggio è andata per abitazione, acqua, elettricità e combustili: +38,8%. Mobili, articoli e servizi per la casa hanno segnato +14,5% e servizi sanitari e spese per la salute +8,8%.
Carrello spesa è personale
Chiaramente, non esisterà mai una misura dell’inflazione perfettamente rappresentativa di tutte le famiglie. Ad esempio, se non uso la macchina, il fatto che il carburante sia rincarato per me non avrà alcun effetto. Al contrario, se la uso con molta frequenza, anche un piccolo rincaro tenderà a colpire il mio potere di acquisto e la percezione sull’inflazione in generale.
In pratica, l’inflazione percepita da ciascuno di noi dipende da cosa inserisce di solito nel suo carrello della spesa personale. A livello macroeconomico, però, gli indici alla fine la spuntano su tutti e forniscono un’idea grosso modo rappresentativa dell’andamento dei prezzi.