L’11 giugno scorso è stato un giorno amaro per l’industria italiana: Magneti Marelli, storica azienda della componentistica per l’automotive, ha avviato ufficialmente la procedura fallimentare, attivando il Chapter 11 negli Stati Uniti. Un segnale forte, che fa tremare anche i giganti e, soprattutto, mette in allarme un’intera città: Torino, cuore pulsante della tradizione industriale del Paese, dove la società conta due stabilimenti e un importante centro di ricerca a Venaria.
Un’eredità storica appesa al filo del debito
Fondata nel 1919 da Giovanni Agnelli e da Ercole Marelli, la Magneti Marelli ha vissuto per decenni in simbiosi con la Fiat, diventandone un partner tecnico di riferimento.
Nel tempo, però, lo scenario industriale è cambiato. Dopo la cessione a CK Holdings nel 2019, la proprietà è passata al fondo americano KKR, attualmente in carica. Oggi, con oltre 4 miliardi di euro di debiti accumulati, il gruppo ha scelto la protezione della legge fallimentare statunitense per evitare il collasso immediato, ristrutturare il debito e avviare una nuova fase.
Ma dietro le carte depositate in tribunale ci sono famiglie reali, operai e tecnici che da anni sostengono l’industria nazionale. Solo nella zona di Venaria, alle porte di Torino, i dipendenti sono 1.600, su un totale di circa 6.000 a livello nazionale. Il timore è che l’esito della trattativa con i creditori e con i possibili acquirenti possa avere ricadute dirette sul personale e sulla continuità produttiva.
Motherson tra i candidati, ma l’automotive è in forte crisi
Uno dei possibili scenari prevede l’intervento del colosso indiano Motherson, che da mesi avrebbe intavolato trattative per l’acquisizione. Nulla, però, è ancora definito, e l’attuale fase è dominata dalla cautela e da un clima di forte incertezza.
La preoccupazione più diffusa è che la nuova proprietà — chiunque essa sia — decida di ridimensionare le attività italiane, colpendo proprio gli stabilimenti piemontesi e il centro di ricerca, considerato un’eccellenza a livello internazionale.
Per i lavoratori, questo passaggio rappresenta una minaccia concreta. Secondo molti di loro, il problema non è solo congiunturale, ma strategico: Marelli avrebbe smarrito negli anni la visione industriale che ne aveva fatto un polo d’innovazione tecnologica. Il rischio è che, nel tentativo di risanare i bilanci, si perda definitivamente anche l’anima produttiva dell’azienda.
Automotive, il ruolo di Stellantis e il peso del sistema
Le organizzazioni sindacali, già mobilitate da settimane, puntano il dito anche contro il contesto industriale più ampio. Toni Inserra della Fiom-Cgil sottolinea come la crisi dell’indotto sia legata a doppio filo con il ridimensionamento del ruolo di Stellantis in Italia. “Finché non si capirà qual è il progetto di Stellantis per il Paese e per il Piemonte – ha dichiarato – sarà difficile immaginare una filiera dell’auto che possa tornare a crescere”.
Il legame con l’ex Fiat resta quindi centrale: Marelli ha rappresentato per decenni una costola tecnologica del gruppo torinese, e oggi sconta anche l’ambiguità delle strategie industriali globali del colosso automobilistico.
I sindacati chiedono un tavolo stabile al governo
Dopo i primi colloqui con la dirigenza, le principali sigle sindacali – Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr – hanno chiesto un confronto immediato a livello istituzionale.
L’obiettivo è chiaro: aprire un tavolo stabile presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy per monitorare l’evoluzione della crisi e garantire un presidio costante. Il primo appuntamento ufficiale è fissato per il 19 giugno, ma i rappresentanti dei lavoratori chiedono interventi concreti e non solo passaggi formali. Secondo Enrico Dettori della Fim-Cisl, Marelli resta una realtà solida, innovativa e perfettamente integrata nel tessuto industriale nazionale. “Va tutelata – afferma – perché è ancora un motore del Made in Italy. L’avvio del Chapter 11 era forse inevitabile, ma ora vogliamo chiarezza, garanzie e impegni reali”.
Quello che si gioca attorno al destino di Magneti Marelli non è solo il futuro di un’azienda, ma la tenuta di un intero ecosistema produttivo. Se la trattativa con i creditori andrà a buon fine — è già stata approvata da circa l’80% di loro — Marelli potrebbe disporre di una finestra preziosa per rilanciarsi. Ma se questo tentativo dovesse fallire, il contraccolpo sarebbe pesante per tutta la filiera automotive italiana.
Torino, già provata da anni di crisi industriale, rischia un ulteriore colpo. E con lei, l’intera manifattura nazionale legata alla componentistica. Il segnale è chiaro: non basta più il nome o la tradizione per restare a galla. Senza un piano industriale coerente, senza investimenti e senza una visione condivisa tra Stato, imprese e lavoratori, anche i simboli del Novecento possono franare sotto il peso della finanza globale.
Riassumendo.
- Magneti Marelli ha chiesto il fallimento attivando il Chapter 11 negli USA.
- In ballo il futuro di 6.000 dipendenti in Italia, 1.600 solo a Venaria.
- Sindacati in allerta, il governo convocato per il 19 giugno.