La 106 potenzia la storica 104 rafforzando le tutele per disabili, malati gravi e caregiver. Tutti ne parlano sottolineando i passa avanti. Ma ci sentiamo di cantare vittoria a metà soprattutto in merito alla possibilità di congedo fino a due anni per malati oncologici e di malattie gravi degenerative o invalidanti.
Un plauso sicuramente alla misura che oltre ai 180 giorni di permessi retribuiti riconosce a queste categorie un congedo fino a due anni, continuativi o frazionati, mantenendo il rapporto di lavoro attivo.
Sulla carta appare come una rivoluzione: la Legge 106 riconosce il percorso di cura (inteso non solo come cicli di chemio etc ma anche come tempo per se stessi, per il riposo fisico e il benessere mentale) e per questo consente a chi affronta una malattia grave di prendersi fino a due anni di congedo dal lavoro per curarsi, senza perdere il posto.
Quando si torna a lavoro dunque non si perde nulla. Ma che cosa succede nel frattempo nei due anni a casa?
Cosa prevede in concreto la misura
Volevamo intitolare questo articolo “il tumore è un lusso” ma ci sarebbe sembrato indelicato per chi sta affrontando questo percorso difficile e doloroso. Perché no, di lusso in certi ambiti non si dovrebbe parlare mai. Sta di fatto però che la nuova 106 rischia proprio di riservare certe tutele a chi può pagarsele da solo, creando malati di serie A e di serie B.
Il congedo potrà essere richiesto da chi è affetto da patologie oncologiche, degenerative o croniche invalidanti.
Vale anche per chi deve affrontare cicli di terapie prolungate o interventi di lunga durata.
È possibile sospendere temporaneamente l’attività lavorativa per motivi di salute certificati.
Durante questo periodo, il lavoratore manterrà il posto di lavoro e la posizione previdenziale, ma non sempre riceverà una retribuzione piena.
Ed è proprio qui che emerge la principale contraddizione della riforma: la tutela del tempo non si accompagna a quella del reddito.
Il rovescio della medaglia: un diritto che resta per pochi
Il congedo lungo è una conquista simbolica, ma non tutti possono davvero permetterselo.
Nella maggior parte dei casi, il periodo di assenza non è coperto integralmente dall’INPS o dal datore di lavoro.
Questo significa che chi decide di usufruirne potrebbe dover rinunciare a parte dello stipendio, proprio nel momento in cui le spese mediche aumentano.
Le disuguaglianze sono evidenti:
- nelle piccole aziende l’assenza di un dipendente pesa molto di più e spesso se ne scoraggia l’utilizzo;
- nei settori meno tutelati la mancanza di coperture contrattuali adeguate rende il congedo quasi impraticabile;
- a livello territoriale le differenze tra Nord e Sud restano marcate, con iter e tempi non uniformi.
Così, la Legge 106 rischia di diventare un diritto “a due velocità”: pienamente accessibile solo a chi ha una posizione economica stabile o un contratto forte.
Le luci: un passo avanti nella tutela della persona
Nonostante i limiti, la riforma introduce un principio che mancava: il riconoscimento esplicito del diritto a curarsi senza dover scegliere tra salute e lavoro.
È un segnale importante, che spinge il sistema italiano verso una visione più umana del rapporto tra malattia e occupazione.
Il nuovo impianto rafforza anche le tutele per i caregiver familiari, ampliando la possibilità di assistere un congiunto malato senza penalizzazioni professionali.
In un Paese dove la cura ricade ancora in gran parte sulle famiglie, è un passo non secondario.
Una vittoria a metà: tempo sì, soldi no
La Legge 106 offre un tempo prezioso, ma lascia aperto il nodo delle risorse.
l principio è giusto, ma serve coerenza.
Perché la vera civiltà non sta nel riconoscere un diritto, ma nel metterlo nelle condizioni di essere esercitato da tutti — ricchi e poveri, dipendenti pubblici e privati, nord e sud.
La Legge 106 rafforza la 104 è vero e apre una strada importante, ma per ora è una vittoria a metà: concede tempo, ma non garantisce sicurezza economica.
E in un Paese dove il lavoro precario è la norma, anche curarsi rischia di diventare un lusso.
Curarsi richiede serenità e questo non si sposa nella realtà con il dover fare sacrifici economici.
E senza un meccanismo di sostegno reale, il diritto rischia di restare sulla carta.
Servirebbero:
- indennità universali per chi si assenta per malattia grave;
- fondi dedicati per aiutare le piccole imprese a gestire le assenze;
- una maggiore integrazione tra Stato, INPS e Regioni per evitare disparità territoriali.
Solo così la 106 potrà diventare una legge di equità, non di privilegio.
