Il rapporto debito/pil italiano ha toccato nel 2011 il suo massimo storico. Record che presto sarà bruciato alla velocità di Usain Bolt per colpa, sì della crescita negativa del prodotto interno lordo del nostro paese, ma anche a causa dell’assurda politica fiscale varata dai tecnici del governo Monti che ha depresso oltre misura tollerabile i consumi e quindi ogni tentativo di ripresa. La stampa di regime sostenuta in coro dai partiti che si stanno riparando sotto la sottana del premier per tirare a campare ancora qualche mese continua a osannare la misure adottate da Monti che si fa bello in Europa e negli USA dicendo di vedere la fine della recessione fra pochi mesi, ma la verità è ben altra cosa e gli investitori internazionali lo sanno.

Sta nei numeri. E secondo l’Eurostat il debito italiano è superiore al 120% e si conferma – secondo la notifica annuale, basata sui dati rivisti forniti dagli stati membri – essere il secondo dell’eurozona dopo la Grecia (170,6%), seguito da Portogallo (108,1%), Irlanda (106,4%) e Belgio (97,8%). L’Italia ha registrato nel 2011 un rapporto tra deficit e pil del 3,9%. Il rapporto debito/pil è invece stato rivisto al rialzo, al 120,7% dal 120,1% della prima notifica di inizio anno. L’aumento, spiega Eurostat, è dovuto all’aggiornamento delle norme contabili commerciali. Anche la spesa pubblica è stata rivista al rialzo al 49,9% (rispetto al 49,1%), in calo rispetto al 50,4% del 2010.   Quest’anno Grecia e Spagna, l’anno prossimo toccherà all’Italia   Ma al di là delle statistiche che si commentano da sé dando uno sguardo alla tabella riassuntiva, quello che preme mettere in evidenza è il fatto che per il 2012, secondo le previsioni dell’OCSE, il rapporto debito/pil supererà il 125% e sarà inevitabile il ricorso agli aiuti esterni del fondo salva stati (ESM). In cambio il paese tricolore dovrà imporre misure draconiane sui conti pubblici.
Non è una novità questa e secondo alcuni economisti di Bruxelles è già tutto programmato e scadenzato a ritmo di elezioni. L’anno scorso è stata la volta della Grecia, quest’anno toccherà alla Spagna e nel 2013 all’Italia. Misura inevitabile con uno stock di debito da 2.000 miliardi di euro sostenibile – secondo gli esperti – solo con una crescita del pil del 5% annuo, il che è un miraggio che ci riporta indietro di 55 anni, ai tempi della ricostruzione post bellica. Un anno fa – come riporta Fabrizio Goria sul quotidiano El Mundo – la crisi del governo Berlusconi ha rischiato di mettere in ginocchio tutta l’eurozona. Gli investitori internazionali hanno perso la fiducia nei confronti del Paese. Servivano riforme strutturali, come quella sul mercato del lavoro, delle pensioni, e poi liberalizzazioni e riforma fiscale. Solo le prime due sono arrivate, con molta fatica.   Le riforme chieste dall’Europa non sono state attuate Eppure, le indicazioni, arrivate nell’ottobre 2011 dalla Commissione Ue, erano chiare: 39 punti per evitare il tracollo dell’Italia. E fra questi punti c’era scritto, fra le altre cose: tagli alla spesa politica e alla burocrazia. Niente di tutto ciò è stato fatto, i partiti tradizionali, da destra a sinistra, hanno continuato a divorare risorse mantenendo ben salde le rendite di posizione attraverso i finanziamenti pubblici (aboliti con referendum) mentre le spese per la burocrazia non sono affatto diminuite per la gioia dei cittadini che si sono visti aumentare le tasse su tutto.  Il Paese risulta così strozzato dalle imposte e dalla spesa per interessi passivi per il debito pubblico che dai 78 miliardi di euro per il 2011 arriverà a 90 quest’anno per superare i 105 nel 2015, in assenza di correzioni strutturali. Secondo Morgan Stanley, nel 2013 l’Italia avrà emissioni lorde di debito pubblico per più di 400 miliardi di euro e con uno spread così elevato nei confronti del bund tedesco, sarà ancora più doloroso sopportare il peso dei rifinanziamenti.
Si prevede uno scenario finanziario apocalittico, ma solo dopo le elezioni in primavera. Inutile addossare ai tecnici di Monti la responsabilità di non aver saputo tagliare spese inutili per far funzionare una macchina statale inceppata da almeno 20 anni, da quando i partiti politici si sono appropriati dello stato facendone i loro interessi e della casta che li sostiene.