Ci voleva un terribile fatto di cronaca di inizio estate per accendere i riflettori (espressione più che mai adeguata) su una vergogna nazionale: il “tax credit” in favore del cinema. La storia è quella di due corpi femminili, madre e figlia, rinvenuti a Villa Pamphili a Roma. Il presunto omicida è stato individuato nella persona di Francis Kaufmann, noto in Italia con il nome di Rexal Ford. Trattasi di un fantomatico regista statunitense e che si sta scoprendo essere stato un genio della truffa. Una delle vittime illustri sarebbe stato proprio lo stato italiano, cioè tutti noi contribuenti.
Contributi per film mai uscito nelle sale
Ford chiese e ottenne nel 2020, in piena pandemia, l’accesso al “tax credit” per una produzione cinematografica senza presentare alcuna documentazione sulla sua effettiva realizzazione. A consuntivo la richiesta venne approvata nel 2023 e l’uomo ottenne la bellezza di 863 mila euro per un film inesistente.
Formalmente, il contributo è stato incassato tramite la società co-produttrice italiana Coevolution srl. Il Ministero della Cultura ha avviato un’indagine per capire come sia stato possibile un esborso senza alcuna prova dell’esistenza del film sussidiato.
Aiuti al cinema illogici
Scordatevi che le indagini portino a qualche spiegazione logica. Il vero scandalo è che quanto accaduto s’inquadra con ogni probabilità non nella truffa in sé, quanto nel modus operandi ordinario del cinema in Italia. Le produzioni internazionali – e questo sarebbe stato l’escamotage di tale Rexal Ford – non erano neanche tenute a dimostrare che le pellicole uscissero nelle sale italiane. Ma la vera domanda è un’altra: perché i produttori pretendono di essere sussidiati con denari pubblici?
Il “tax credit” copre fino al 40% dei costi sostenuti per la realizzazione di un prodotto.
Non si capisce quale sia la motivazione alla base. Se un film è buono, si vende da solo. Molti degli attori che nei mesi scorsi hanno protestato contro il ministro Alessandro Giuli per la riforma degli aiuti al cinema, hanno recitato in produzioni che sono state un flop ai botteghini e spesso hanno incassato meno degli stanziamenti ricevuti dallo stato. Per quale assurda ragione un corto- o lungometraggio dovrebbe essere sussidiato dai contribuenti? Gran parte di queste “perle di cultura” neanche esce nelle sale, per cui rimane tutto sulla carta.
Tax credit furbata per casta di sussidiati
Ed ecco che il “tax credit” serve all’unico vero scopo preposto sin dall’inizio: fare mecenatismo con i denari faticosamente guadagnati dai contribuenti. Una forma neanche tanto mascherata di amichettismo, che non sta facendo il bene del nostro cinema. Le distanze con il mercato si ampliano. Chi produce, non s’interessa nemmeno di quali siano le preferenze dei consumatori. Si è venuta a creare una casta di sussidiati di lusso, che pretende di lavorare a spese dello stato come se ne fosse alle dipendenze. L’unica vera riforma possibile sarebbe l’eliminazione di questa vergogna. La cultura – se di questo si tratta – non può dipendere dalle prebende pubbliche, perché per essere libera deve finanziarsi in autonomia.
Altrimenti, è solo una furbata per vivere sulle spalle degli altri.