Nel contesto lavorativo italiano, il tema dell’abuso dei permessi 104 rappresenta un ambito delicato, continuamente oggetto di controversie tra dipendenti e datori di lavoro. Una recente (ed ulteriore) pronuncia della Corte di Cassazione ha contribuito a chiarire ancora una volta i confini tra utilizzo lecito e uso improprio di tali permessi.
Con l’ordinanza n. 14763 del 1° giugno 2025, la Suprema Corte ha stabilito che una breve attività fisica, svolta da una lavoratrice durante i permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992, non costituisce un abuso se l’assistenza al familiare disabile è comunque assicurata.
Il caso concreto: permessi 104 per assistere la suocera e attività fisica terapeutica
La vicenda nasce da una contestazione disciplinare avviata da un’azienda nei confronti di una propria dipendente, la quale aveva usufruito dei permessi 104 per prestare assistenza alla suocera disabile.
Il datore di lavoro riteneva che la dipendente avesse sfruttato il permesso per fini personali, accusandola di condotta scorretta e procedendo al licenziamento per giusta causa.
L’accusa si fondava sul fatto che, durante le giornate di permesso 104, la lavoratrice aveva fatto attività diverse. In particolare, si allontanava temporaneamente da casa per dedicarsi a una camminata veloce, attività che secondo l’azienda nulla aveva a che vedere con la finalità assistenziale prevista dalla normativa.
La dipendente, tuttavia, ha dimostrato che tale camminata aveva una finalità terapeutica, essendo consigliata per il trattamento dell’asma bronchiale di cui soffre. Inoltre, l’assistenza alla suocera era garantita, durante la sua assenza, da una collaboratrice domestica con cui la lavoratrice manteneva contatti regolari.
Il giudizio della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione
Il tribunale di secondo grado aveva già accolto le ragioni della lavoratrice, annullando il licenziamento per mancanza di prove sufficienti da parte dell’azienda.
I giudici avevano osservato come il comportamento della dipendente non integrasse una violazione tale da giustificare un licenziamento immediato e senza preavviso.
La sentenza è stata successivamente confermata dalla Corte di Cassazione. I giudici di legittimità hanno escluso che l’allontanamento temporaneo per esigenze personali e terapeutiche, all’interno della giornata di permesso, costituisca in sé un abuso dei permessi 104, purché la finalità assistenziale sia comunque perseguita.
Assistenza garantita e assenza limitata: elementi determinanti
Un aspetto cruciale su cui si è concentrata la Suprema Corte riguarda la durata dell’allontanamento e le modalità con cui l’assistenza veniva comunque assicurata. Nella fattispecie, la lavoratrice si assentava per periodi brevi, variabili da mezz’ora fino a un massimo di poco meno di due ore al mattino, mentre durante il resto della giornata era stabilmente presente presso l’abitazione.
La presenza costante della collaboratrice domestica ha inoltre contribuito a escludere che vi fosse stato un effettivo abbandono dell’attività assistenziale. Anche il contatto telefonico mantenuto durante l’assenza ha rafforzato l’idea di una vigilanza continua sulla persona assistita.
La decisione della Cassazione si fonda anche su un altro principio cardine del diritto del lavoro: la proporzionalità della sanzione disciplinare.
Il licenziamento è considerato una misura estrema, applicabile solo quando il comportamento del dipendente è particolarmente grave e privo di giustificazioni.
Nel caso in esame, l’allontanamento temporaneo per fini di salute personale, senza interruzione dell’assistenza al familiare disabile, non è stato ritenuto sufficiente a giustificare un provvedimento così drastico. I giudici hanno sottolineato che i permessi concessi ai sensi della Legge 104 devono essere utilizzati in modo coerente con la loro funzione, ma ciò non significa che il lavoratore debba rinunciare completamente a ogni esigenza personale durante l’intera giornata.
La funzione della Legge 104/1992: tutela e flessibilità
La Legge 104/1992 rappresenta uno strumento fondamentale per garantire ai lavoratori la possibilità di assistere familiari affetti da disabilità grave, senza dover sacrificare il proprio impiego. Tuttavia, la normativa non detta modalità rigide e inflessibili. Piuttosto, prevede un equilibrio tra esigenze lavorative, diritti assistenziali e necessità individuali del lavoratore.
La Cassazione ha ribadito che, in mancanza di evidenti comportamenti fraudolenti o dissimulazione della reale attività svolta, non può parlarsi di abuso permessi 104. Il lavoratore non è obbligato a rimanere fisicamente accanto al disabile in ogni istante, purché l’assistenza sia realmente organizzata e assicurata.
Le implicazioni pratiche per lavoratori e aziende
Questa sentenza offre importanti spunti interpretativi sia per i dipendenti che per i datori di lavoro. I primi ottengono un chiarimento sul fatto che non ogni minima attività personale durante i permessi 104 costituisce un abuso. Le aziende, dal canto loro, sono chiamate a valutare con maggiore cautela l’eventuale avvio di procedimenti disciplinari, evitando reazioni sproporzionate o fondate su presunzioni.
In assenza di una prova concreta di condotte fraudolente o elusione della finalità assistenziale, un breve allontanamento per necessità personali non può essere considerato illecito.
Abuso permessi 104: un confine sottile, ma chiaro
L’ordinanza n. 14763 del 2025 della Corte di Cassazione contribuisce a definire meglio il concetto di abuso permessi 104. Separandolo nettamente da condotte legittime legate al benessere personale del lavoratore. La giurisprudenza conferma che l’uso corretto di tali permessi richiede un bilanciamento tra il dovere di assistenza e la tutela della salute di chi presta cura.
Non è sufficiente rilevare un’attività personale per concludere che vi sia stato un abuso: occorre verificare il contesto, la durata, le motivazioni e soprattutto che l’assistenza al disabile sia effettivamente garantita.
Solo in presenza di comportamenti contrari a tali presupposti, sarà giustificabile una reazione disciplinare severa, come il licenziamento.
L’approccio della Corte suggerisce quindi un’interpretazione più umana e concreta della normativa, che tenga conto della complessità delle situazioni reali. Evitando così automatismi sanzionatori e valorizzando la buona fede dei lavoratori.
Riassumendo
- La Cassazione giudica illegittimo il licenziamento per attività personale durante i permessi 104.
- La lavoratrice si allontanava brevemente per motivi terapeutici, garantendo comunque l’assistenza.
- L’assistenza alla suocera era assicurata da una collaboratrice domestica durante le assenze.
- La Suprema Corte ha ribadito il principio di proporzionalità nelle sanzioni disciplinari.
- L’attività personale non implica abuso se non compromette l’assistenza al familiare disabile.
- I permessi 104 richiedono uso corretto, ma consentono flessibilità per esigenze personali.